Recensioni / La poesia che non è «in nessuna lingua, in nessun luogo»

l' a poesia italiana è nata sotto il segno del an bilinguismo. Dante precisa la distinzione tra il volgare, che i bambini imparano dai primi suoni 4 che incominciano a distinguere, e l'altra lingua, il latino, che si apprende attraverso lo studio. «Di queste due lingue - scrive Dante nel De volgari eloquentia - la volgare è più nobile, sia perché fu usata per prima dal genere umano, sia perché tutto il mondo se ne serve (...); e inoltre perché è per noi naturale, mentre l'altra è piuttosto artificiale». È Giorgio Agamben a ricordarlo, curatore della collana di poesia bilingue Ardilut, della casa editrice Quodlibet, e autore delle pagine introduttive ai primi tre volumi. Il primo è I Turcs tal Friùl - I Turchi in Friuli di Pier Paolo Pasolini, cura dell'originale in prosa e traduzione a piè di pagina di Graziella Chiarcossi, con una traduzione a fronte in versi del poeta friulano Ivan Crico (17 euro). Non si trovano qui le poesie in friulano più note di Pasolini, ma un breve dramma giovanile: I Turcs tal Friul (1944). Pubblicato postumo nel 1976, il testo è ispirato da una lapide commemorativa, ora in una chiesa di Casarsa, che testimonia le invasioni dei turchi avvenute in Friuli nel Quattrocento, con devastazioni analoghe a quelle perpetrate negli stessi luoghi dalle truppe di occupazione tedesche. Il secondo volume, In nessuna lingua, in nessun luogo, prefazione di Stefano Dal Bianco (19 euro), raccoglie tutte le poesie in dialetto di Andrea Zanzotto, da Filò, scritto per il Casanova di Fellini, alle poesie in solinghese Galateo in bosco, Idioma, Meteo, Sovraimpressioni e Conglomerati, con in più Appunti e abbozzi per un'ecloga in dialetto per la fine del dialetto, che apre l'antologia, testo assente dalle precedenti edizioni di poesie complete. Zanzotto, un grande poeta in lingua che ha utilizzato molto il dialetto, afferma di non sapere «di dove la lingua venga». Riferendosi al dialetto della sua infanzia a Pieve di Soligo, in Filò scrive: «Vecio parlar che tu à inte '1 tó saór / un s'cip del lat de la Eva - Vecchio dialetto che hai nel tuo sapore / un gocciolo del latte di Eva». Il dialetto è antichissimo; si trasforma di generazione in generazione; si apprende col latte materno; non è parola scritta, è lingua passata di bocca in bocca. Lingua originaria, autentica, nella concezione di Zanzotto, il dialetto è «logos erchòmenos, lingua sempre veniente», si incarna in coloro che la parlano e continua ad affermarsi nella poesia contemporanea. Il terzo volume della collana, Quando le ombre si staccano dal muro, con un saggio di Elenio Cicchini (16 euro), è di Francesco Giusti, nato a Venezia nel 1952. Giusti pratica il bilinguismo. Scrive tanto in lingua che nel dialetto veneziano, alcune poesie in italiano hanno inserti in dialetto. Scrive in dialetto, si autotraduce e i due testi a fronte possono risultare autonomi o complementari; scorrono paralleli su un doppio binario o sono riscritture con notevoli differenze tra loro, con varianti che cercano di dire «forse calcossa de altro, forse / calcossa de più» di quanto si direbbe in una lingua sola e stimolano l'ascolto intimo del lettore con la ricchezza della poesia che, come ha scritto Zanzotto, non si sa da dove parla: «La poesia no l'è in gnessuna lengua / in gnessun logo», e vuole raggiungerci.

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