La corrispondenza tra Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti fu
pubblicata per la prima volta nel
1951 sotto il titolo Lettere d'amore. Da allora non ha avuto vita facile, anzitutto per la perdita, un poco misteriosa e chissà se irrimediabile, degli
autografi. Eppure si tratta di un carteggio
tutto da scoprire, in cui i due poeti non si
risparmiano in alcun modo. Vita, letteratura, confessioni, travestimenti, complicità, fraintendimenti, silenzi: davvero
non manca nulla, da una parte e dall'altra.
Le Lettere d'amore vengono riproposte
adesso in una bella edizione curata da
Franco Contorbia (per Quodlibet), che
nella sua postfazione ricostruisce il complesso «puzzle filologico, archivistico e
bibliografico» che vi sta attorno, a partire
dalla prima pubblicazione uscita a cura
del «sommo bibliofilo» Spartaco
Asciamprener, mancato di lì a poco a
causa di un incidente stradale. Si tratta di
126 lettere, 4o della Guglielminetti e 86 di
Gozzano, scritte tutte, ad eccezione delle
ultime due che sono del 1912, tra il 1907 e
il 1910. Per entrambi sono anni decisivi di
formazione e di crescita poetica. Nel 1907
Amalia ha infatti pubblicato Le vergini
folli, il suo secondo, molto apprezzato libro di poesia, mentre Guido il suo primo,
La via del rifugio. Ma questi sono anche e
soprattutto gli anni che portano alle raccolte della maturità, rispettivamente Le
seduzioni (1909) e I colloqui (1911), dei
quali ultimi si possono trovare qui importanti notizie sul processo di composizione, qualche stesura provvisoria (del
poemetto Cocotte, ad esempio), ma anche ragguagli molto precisi sulla distinzione tra Signore e Signorine («quel nome brutto: Signorina»), che non possono
non rapportarsi a quella che sarà la sua
poesia più celebre, La signorina Felicita.
Semplificando un po', è possibile seguire anzitutto tre linee tematiche. La
prima riguarda ovviamente l'ambientazione, cioè il cosiddetto sapore dell'epoca, che in questo caso è innegabilmente
liberty e un poco decadente: abitudini,
amicizie, residenze estive e invernali, incontri, letture, pratiche e riti quotidiani.
Come scrisse sul «Corriere della Sera»
Pietro Pancrazi recensendo la prima edizione del libro, «dietro ci vedi un elegante anche se un po' provinciale salotto del
primo 'goo: il piccolo mondo torinese da
cui vennero fuori I colloqui». Il che non è
affatto trascurabile, dunque.
Il secondo motivo, a cui si è accennato,
riguarda la letteratura. Non va dimenticato che i due corrispondenti sono anzitutto poeti, che infatti, quanto a sé stessi,
non dimenticano mai di esserlo, anche
se a differenza di Guido, e questo elemento è di fondamentale importanza,
Amalia si dichiara comunque disposta a
mettere da parte la letteratura in favore
della vita. In ogni caso, la considerazione
reciproca è molto alta. In particolare,
Guido apprezza moltissimo le poesie di
Amalia, che impara senza fatica a memoria e su cui interviene pubblicamente. Ed
è proprio la poesia il primo terreno del
loro reciproco riconoscimento. Da questo punto di vista possono parlare con la
certezza di essere compresi. «Ieri, l'altro
ieri, sono stato ore e ore a tavolino, affastellando rime e pensieri e non facendo
un verso passabile... E avrei tanti germi
non ispregevoli da svolgere: ma sono di
un'abulia metrica desolante», così ad
esempio Guido. Mentre dal canto suo
Amalia, riferendosi alla revisione dei
suoi nuovi versi, gli scrive: «Ho messo al
bando tutti quelli che mi parevano peccare anche venialmente di lontana o vicina
rassomiglianza con qualcuno dei vostri.
Qualche bel suono s'è cambiato in brutto,
ma è mio, non guidogozzaneggia più».
E poi c'è ovviamente, come dal titolo, il
motivo amoroso. Queste lettere sono il
racconto, per un buon tratto perfino la
cronistoria di una passione e di un amore, se non fosse che, anche se solo per la
parte di Gozzano, parlare di passione e
d'amore è cosa alquanto improbabile, se
non impossibile, e dunque affatto imprecisa, illecita. Certamente la sovrapposizione può risultare meccanica o scontata,
ma com'è possibile tenere distinto l'uomo che si rappresenta in queste lettere
dal personaggio indifferente, distaccato,
ironico, nichilista delle poesie, quel personaggio a tutti gli effetti poetico che
sembra non avere un fondamento
d'identità, un punto di resistenza, un
grumo d'autenticità? Il gioco delle parti e
delle maschere, ch'è poi un gioco degli
specchi, a questo punto si moltiplica indefinitamente, perché anche la scrittura
epistolare può comportare un grado
molto alto di trasposizione letteraria. Ma
allora come distinguere realtà e finzione,
la confessione dalla maschera? «Non già
che io temessi d'innamorarmi di Voi (io
non sono innamorato che di me stesso;
voglio dire: di ciò che succede in me stesso)», scrive Gozzano in una delle primissime lettere. In ogni caso, chi pensa che il
motore vero della sua poesia sia la mancanza d'amore, vale a dire una consapevole, dichiarata, anche celebrata ma comunque effettiva incapacità d'amare, potrà trovare qui molte conferme: «Non ho
amato pur troppo fin ora e forse non
amerò più; non amerò mai se non ho
amato Voi!» (9 dicembre 1907); quindi
ancora, nella sua lettera più bella (30
marzo 1908): «Perdonami. Ragiono, perché non amo: questa è la grande verità. Io
non t'ho amata mai. [...] Già altre volte
t'ho confessata la mia grande miseria:
nessuna donna mai mi fece soffrire; non
ho amato mai».
Povera Guglielminetti, si potrebbe dire. Anche se è vero che per parte sua
Amalia, fin dal giorno del primo invito
per «un incontro molto savio e molto poco romantico» (4 ottobre 1907), mostra di
possedere le proprie armi: intelligenza,
sensibilità, consapevolezza di sé, fortezza
d'animo, capacità di sentire e, per quel
che importa, di scrivere. Basta leggere la
lettera del 24 marzo 1908 per rendersene
conto: «Perché mi fate piangere, Guido,
perché mi fate rimpiangere quel poco
che v'ho dato di me?». E del resto se la
spada d'amore, come la chiamerà Umberto Saba, si rivolge fin da subito contro
di lei, resta comunque la posizione di
Guido, tra malattia esistenziale e malattia
fisica (la tisi, a cui allude spessissimo),
tra libera scelta e costrizione, la meno invidiabile.
«Voi siete lo spirito più affine al mio,
come predilezioni e come sogni», scrive
Gozzano ad Amalia. Eppure è la differenza delle rispettive posizioni, che può apparire perfino schematica, come se si
trattasse di ruoli e di uno spartito già
scritti, a rendere così viva questa storia di
un amore non dato o realizzato (se non in
un unico incontro poi deplorato da entrambi), quindi non senza fatica dirottato, se mai possibile, in amicizia. Alcune
lettere sono davvero splendide. Soprattutto, questa corrispondenza non appare
mai interlocutoria, come se non conoscesse momenti di stanca. E questo può
perfino sorprendere trattandosi della «filosofia gelida» del più imprendibile io
poetico del Novecento italiano. Ma proprio questa maschera, evidentemente, è
stata di Gozzano la doppia, invariabile verità.