Gianni Celati,
ottantaduenne, è uno degli
autori italiani più interessanti
del secondo Novecento. Ha
esordito con Comiche
(1971), con il risvolto
firmato da Italo Calvino,
seguito da Le avventure
di Guizzardi (1973), La
banda dei sospiri (1976),
Lunario del paradiso
(1978), tutti caratterizzati da
una forte sperimentazione
linguistica, per poi scoprire
un nuovo sguardo sul
mondo e sul paesaggio con
Narratori delle pianure
(1985), Quattro novelle
sulle apparenze (1987) e
Verso la foce (1989).
Con Studi d'affezione per
amici e altri (Quodlibet)
ha raccolto otto saggi sugli
scrittori italiani più amati,
dal Novellino, inteso come
«ritaglio e miniaturizzazione
di episodi già narrati nei
libri», ad Ariosto, i cui
cavalieri, spinti dalla freccia
del desiderio, girano a vuoto
«in preda ad una follia
fantastica» e inseguono
Angelica formando un
enorme intreccio di fili
narrativi.
Celati è attratto dal potere
magico, incantatorio
delle parole, come in
Mastr'Impicca (1874)
di Imbriani, dove la fata
Scarabocchiona produce
meraviglie con la sua magica
«verghettina».
Legge Con gli occhi chiusi
(1919) di Tozzi
come un romanzo
visionario dalla
scrittura dimessa,
sottotono, e Casa
d'altri (1953) di
D'Arzo, stupenda
storia di una
vecchia, povera e
disperata raccoglitrice
di stracci che chiede il
permesso al parroco di finire
un po' prima, dove il silenzio
e il non detto prevalgono sul
rumore e sui fatti.
Un altro autore che Celati
rivaluta è Antonio Delfini,
poco letto ma straordinario
nel suscitare la réverie del ricordo,
come nel racconto
La modista, ispirato da un
quadro di Cézanne: Elvira
pensa a un amore perduto
e rievoca un pulviscolo di
immagini che vengono dal
passato. Manganelli, Ceronetti,
Calvino inseguono una
leggerezza che sembra uscita
dalla musicalità della prosa
delle Operette morali di
Leopardi, sinuosa, a ondate
vaganti.
Chiunque può lasciarsi trascinare
dalla bellezza di
questi saggi, che non hanno
nulla di erudito o di professorale,
e si situano a metà tra
la narrativa e la saggistica.