Ce ne sono molte
anche intorno a
noi, benché spesso
sia difficile riconoscerle.
Se
la parola è il privilegio
che Dio concede
all'ultima delle sue creature,
quell'Adamo (ed Eva)
cui impone di «nominare»
le cose del mondo, se il linguaggio
è percepito da
sempre come lo strumento
primo della comunicazione,
è non meno vero
che esso può diventare il
suo contrario. E cioè un sistema
per nascondere, occultare,
dissimulare.
«Ogni segreto determina
una divisione, i suoi effetti
possono essere scoperti
in un individuo che,
consapevolmente o inconsapevolmente,
nasconde
qualcosa ad un altro, ma si
estendono anche ad un
più ampio numero di parlanti...
Bastano soltanto
due passi per aprire tale dimensione
dissimulativa»,
Scrive Daniel Heller-Roazen,
docente di letteratura
comparata all'Università
di Princeton, in un saggio
intitolato Lingue oscure.
L'arte dei furfanti e dei
poeti appena tradotto da
Giuseppe Lucchesini per
Quodlibet.
Lo studioso si inoltra qui
in idiomi, vernacoli e codici
che fanno parte della storia
passata, e lo fa con acribia
filologica. Dal gergo
del mondo criminale agli
anagrammi, dal codice
del dadaista Tristan Zara
alle strutture subliminali
della poesia, il libro affronta
quel lato davvero oscuro
delle lingue, quando diventano
mezzo di nascondimento,
strumento di
esclusione. Sono molte le
tecniche per inventare ed
usare un linguaggio segreto,
così come molti sono i
piani su cui situare una comunicazione
che deve arrivare
a pochi e tenere fuori
i molti.
Pensiamo a quel gioco
che si faceva da bambini, e
chissà se i bambini di oggi
lo fanno ancora, che stafav
afa n efel afa g giufun g efe -
refe una sillaba ad ogni sillaba,
ripetendo la vocale e
apponendovi la f. O al gergo
che le prostitute francesi
usavano nell'Ottocente,
come protezione nei confronti
dei clienti.
Queste lingue oscure
non nascono sempre e soltanto
per ingannare, per
sviare. Vi è anche a volte,
rileva Heller-Roazen, una
alterazione del linguaggio
che ha scopi sacrali: i virtuosi
della parola, cioè i
poeti e i sacerdoti, hanno
saputo fare della lingua
una sorta di tabù - o di totem.
E a ben pensarci, questo
appropriarsi della lingua
e deformarla per renderla
incomprensibile a i
più che ascoltano o leggono
è denominatore comune
di molti idiomi contemporanei,
che non di rado
diventano un gergo per iniziati,
precluso a chi non lo
è.Pensiamo ai modelli
espressivi di mondi come
la finanza, la burocrazia,
persino lo sport - per chi
non è spettatore competente.
Lingue che parlano
a chi già sa, e negano a chi
non sa.