Recensioni / Intervista a Matteo Pericoli

Matteo Pericoli, New York e altri disegni,
con testi di Achille Varzi, Gilberto Rossini e Matteo Pericoli, Quodlibet, Macerata, 2005, pp. 80, L.18,00

ne parliamo con l’autore
1. Una auto presentazione in max 5 righe dell’autore...
Caspita, cinque righe, con un font così piccolo e una pagina così larga, possono essere quasi troppe. Dunque, mi chiamo Matteo Pericoli e mi trovo sempre in difficoltà quando mi chiedono (o mi chiedo io stesso) che mestiere fai. Sono un architetto innanzitutto, direi. Sono venuto a New York nel 1995, subito dopo la mia laurea in architettura, per - così almeno mi dissi allora - imparare e scoprire una città che da lontano sembra diversa da quello che in realtà è, e per cercare di capire come funziona l'architettura lontano dalla storia, dai restauri e da tutto ciò che avevo imparato (o non imparato) all'università Ho finito per fare l'architetto davvero, sì, ma solo per cinque anni; poi anche (anzi soprattutto) il disegnatore, l'autore di libri (per adulti e per bimbi) e, ora, l'insegnante di architettura al liceo.

2. Ci descrivi brevemente New York e altri disegni?
New York e altri disegni si ispira alla mostra omonima organizzata quest'anno (da aprile a luglio '05) dal Comune di Fiesole nella basilica di S. Alessandro. L'idea era quella di mostrare tutta Manhattan, cioè i miei tre lunghi disegni pubblicati inizialmente nei due libri di Random House che mostrano il profilo dell'isola vista dall'acqua (il profilo est e ovest, due disegni di 12 m ciascuno) e vista dal centro, da Central Park (un disegno di 10 m). Tutt'attorno, oltre alle centinaia di foto usate per fare questi lavori, c'erano tanti altri disegni (appunto, gli "altri disegni") che in qualche modo completano un racconto o forse un viaggio. E magari mostrano l'evoluzione delle linee attraverso i vari soggetti, soprattutto attraverso le architetture, ma anche l'evoluzione delle idee, chissà. Insomma, in pratica e' un libro con due testi, delle immagini (i disegni) e un mio scritto finale, in cui cerco di capire, scrivendone, tutto ciò.

3. Perché disegnare New York?
Come si fa a non disegnare New York? mi domando io invece. Non ci ho mai pensato in realtà al perché E' stato un bisogno forte da subito; il disegno e' lo strumento che per eccellenza ci fa imparare, conoscere e capire un luogo. Ce lo spiega senza parole o nozioni che si possano poi ripetere chiaramente. Una volta disegnato, il soggetto ci entra nel sangue, diviene nostro, in silenzio entra a far parte di noi. Quando si disegna qualcosa, o qualcuno, si entra in simbiosi con quel qualcosa o qualcuno; e in fondo era questo che volevo fare con New York, capirla a fondo, entrarci il più dentro possibile.

4. Vedo che accanto a new York c’è anche Venezia...mi sembra che sia Koolhaas che in Delirious New York paragona le due città A tuo parere c’è qualche similitudine?

A leggere libri di chi se ne intende direi proprio di sì Una città come Venezia che nasce dove nasce per via del bisogno di fuggire, e poi che si rafforza grazie ai commerci e alla tensione verso mondi lontani, e non quelli da cui proveniva, fa certamente pensare a New York. Manhattan e' staccata dalla terraferma da fiumi in certi tratti larghissimi e in altri strettissimi; ma spesso si ha la sensazione di essere in una zattera lontana in mezzo al mare. New York raccoglie, oltre ai tanti che come me arrivano dal resto del monto, tantissima gente che fugge dall'America stessa. In fuga e alla ricerca.

5. Ci parli, brevemente, della tua esperienza a New York... Come ci si trova un architetto?
Come dicevo sopra, io ora esiterei a definirmi un architetto. La mia esperienza e' stata limitata, e forse fuorviante, non so. Lavorare in un grande studio fa certamente bene, e soprattutto se le responsabilità - come nel mio caso - sono poi tante. Ma e' un'esperienza che ovatta un po' tutto il resto, si finisce per credere di essere in una specie di circolo di eletti e, in fondo, sono contento di essermene staccato. Ora vedo l'architettura (e gli architetti) un po' dal di fuori. Spesso provo nostalgia, ma soprattutto nei confronti dell'architettura, non degli architetti. Sento ancora rimbalzarmi in testa le parole di Volfango Frankl e dei suoi collaboratori (con cui lavorai alla mia tesi) che a fare l'architetto ci si arriva molto avanti nella vita, quando tutte le esperienze che ci portiamo dietro e dentro - sia di vita che professionali - finiscono in qualche modo per essere svuotate su un tavolo tutte insieme, come fanno i bimbi coi giochi. E così, piano piano, si comincia a scegliere, a ricomporre, a selezionare e a rimontare. Il lavoro dell'architetto. Io non ho idea quali forme prenderanno i miei giochi, ma attendo per ora pazientemente. E New York, la città di New York, la gente di New York, l'architettura a New York, offre tante, tantissime (forse alle volte troppe) esperienze; e' un luogo ideale per osservare e accumulare; mentre qui i più corrono.

6. So che sei stato a studio da Eisenman. Ci descrivi il personaggio e il suo ambiente di lavoro?
Purtroppo quella da Eisenman non e' stata un'esperienza importante per me o una che ricordo con piacere. Alle volte nella vita gli incontri sono solo coincidenze e non "incontranze" come le chiamava Ridolfi; mancano cioè quelle scintille che stanno a dimostrare che tra due persone sta accadendo ben di più di quanto si veda dal di fuori. Io ero affamato di architettura quando iniziai a lavorare da Eisenman, volevo imparare a mettere in piedi un progetto, volevo capire come si fa a costruire con sicurezza, forza ed esperienza. E finii al posto sbagliato. Non mi interessavano le elucubrazioni mentali o le teorie dietro questa o quella forma, visto che davanti alle teorie c'era comunque sempre una scelta formale. L'ambiente m'era parso dapprincipio ideale per me, ricordo che mi dicevo che era 'europeggiante'; ma mi accorsi subito (se non sbaglio già durante il primo giorno di lavoro, non pagato ovviamente) che non avrei imparato lì quello che volevo imparare. Ora sto cercando un riavvicinamento anche a questo tipo di architettura.

7. E anche a studio da Meier. Che ne pensi dei suoi ultimi progetti?
Quello che dei progetti di Richard Meier e', in generale, oggettivamente ineccepibile e' il controllo degli spazi, dei dettagli, e del rapporto tra le parti e il tutto. Poi, da un punto di vista estetico e formale e' una questione di gusti (io non vado matto per il continuo biancore abbagliante). Ma devo dire che sono sempre rimasto positivamente colpito, e veramente legato, alla Chiesa del Giubileo di Roma e alla sua forza e compattezza. A differenza di tanti altri suoi progetti, lì si vede prima un'idea forte, e poi tutto il resto segue.

8. Dacci tre ragioni per comperare il libro...
La prima: l'arancione della copertina e' bellissimo (non l'ho scelto io). La seconda: il libro pesa poco, non e' un mattone da portarsi in giro. E la terza: il costo e' più che ragionevole!

9. E uno per non comperarlo....Insomma: tira fuori un difetto, un errore che ti sei promesso di non rifare nel prossimo libro...
Ho incluso un disegno che secondo me stona, che non c'entra. Non lo includerei la prossima volta, ma non sarò certo io ora a dire qual è!

10. E, infine ,confessaci chi e' il disegnatore che più ami...
Su questo ho sempre meno dubbi: Saul Steinberg.
 
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