Recensioni / Tra balle e jazz

Un "dolce giorno di maggio" del 1938 il folklorista Alan Lomax incontrò il pianista jazz Jelly Roll Morton nell'auditorium della Biblioteca del Congresso a Washington. Elegantissimo, carico di anelli alle dita con un diamante incastonato sull'incisivo, cominciò a raccontare la sua vita ai "padelloni" di un primitivo impianto di registrazione. Intanto suonava un pianoforte a coda. Pochi accordi sotto la voce, poi una frase. quindi un intero "stomp" del suo repertorio. Un grande lezione-spettacolo sulla nascita del jazz. i bordelli di New Orleans, i bianchi, i neri, i creoli. Andò avanti un mese intero, circa 9 ore di materiale integralmente disponibili, assieme al libro biografico che Lomax scrisse negli anni 70: Mister Jelly Roll ora per la prima volta tradotto in italiano da Quodlibet.
All'epoca Lomax aveva solo 23 anni ma suo padre lo aveva già portato da personaggi enormi come Leadbelly. Insieme avevano girato le prigioni e gli Stati del Sud con 200 chili di fonografo caricati in macchina, al confronto "Jelly Roll" era una passeggiata. Al jazz, il giovane musicologo marxista difensore dell'autentica cultura di operai e contadini contro le canzonette della radio, si accostava con più di un sospetto. Morton - che si chiamava Lamenthe - diceva di avere iniziato a suonare il piano a 10 anni di nascosto dalla madre. Strumento da signorine e anche per questo si era chiamato Jelly Roll - lo scopatore. Diceva di avere cominciato a esibirsi nei bordelli di Storyville a 12 anni. Diceva di avere inventato il jazz. Asso del biliardo. Proto-rapper. Eccezionale contaballe, forse.
Quando incontrò Lomax, Jelly Roll Morton aveva una cinquantina d'anni e a dispetto delle apparenze era senza un soldo. Come per tanti musicisti la grande depressione aveva fatto evaporare ricchezza e popolarità. Suonava in un fetido club di Washington, il Jungle Inn. Nessun diritto di autore. Se gli chiedevi perché non aveva mai depositato i temi che diceva di aver scritto rispondeva che comunque soltanto lui era capace di suonarli bene. Se gli chiedevi perché tanti vecchi musicisti di New Orleans sembravano non ricordarsi di lui, rispondeva che aveva suonato soltanto nei bordelli per i ricchi bianchi. Per dare un senso a quella lunga conversazione Alan Lomax dovette inventare il concetto di autenticità, poi replicato mille volte dalla critica jazz e rock (per lo più bianca). Jelly Roll Morton era autentico perché era il prodotto di un momento irripetibile di "estasi culturale': nato dallo scontro di classi ed etnie. E pazienza per le balle. Lomax aggiungeva che Hemingway se lo sarebbe sognato di raccontare così bene come quel pianista da bordello, e per questo lo stette ad ascoltare fino alla fine.

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