Recensioni / La Terra e il suo satellite

«A scuola si scrivono temi in classe, tanti temi in classe o componimenti, che è la stessa cosa. Poi finita la scuola si passa ad altri generi letterari, ce n’è una gran varietà, dalla propaganda commerciale al referto medico, dalla lettera d’amore o di protesta al diario o, come dicono i francesi, il journal intime. Qualcuno si metterà perfino a scrivere romanzi avvincenti e commoventi e di conseguenza diventerà uno scrittore o una scrittrice famosa, mentre altri continueranno a scrivere temi in classe per tutta la vita». (p. 11)

Ne La Terra e il suo satellite Matteo Terzaghi conferma la sua predilezione per la prosa breve, forma frequentata già con successo in Ufficio proiezioni lumiose (Quodlibet 2013, Premio svizzero di letteratura), e il montaggio di episodi o «unità minime della vita» (cfr. l’intervista a Terzaghi, «Storie minime, ma pur sempre storie», a cura di Magda Mandelli, in «Viceversa letteratura», n. 11, 2017, p. 25), in una progressione di scene («unità minime della letteratura») che si configurano come racconti, micro-saggi narrativi, veri e propri “frammenti” di vita vissuta, che acquisiscono dinamicità e significati plurimi grazie ai rapporti che si instaurano a livello della macrostruttura della raccolta.
Le prose prendono lo spunto iniziale da fatti di cronaca, persone conosciute, libri, film, musica, immagini, arte, e più in generale da esperienze dirette e ricordi, e sono sviluppate nella forma del “tema scolastico”, ovvero un esercizio di scrittura “riflessiva” che riporta l’autore e noi lettori all’infanzia; un’età in cui si inizia a sperimentare la complessità del mondo, tramite le prime letture e la scrittura dei cosiddetti «pensierini», che permettono al bambino di esplorare a suo modo la «Terra» e di compiere le proprie scoperte, esercitando così una certa libertà, nonostante le imposizioni scolastiche o pedagogiche. La raccolta si chiude proprio con un testo scritto dall’autore all’età di dieci anni, in cui l’allievo Terzaghi sviluppa un componimento in occasione dello «Spettacolo del circo». Un epilogo che è poi l’esordio dello scrittore, in cui già spiccano alcune peculiarità della sua “forma mentis”: il dono della sintesi, di sapere concentrare l’essenziale in una frase e in poche righe. Una scrittura icastica che trae la sua forza dall’interesse dell’autore per il rapporto tra le parole e l’immagine («Pensare con le immagini, pensare con le parole, sono due cose che vanno insieme. Le parole producono immagini e le immagini producono parole», afferma l’autore nell’intervista con Magda Mandelli; fotografie e immagini presenti anche in questo libro, sebbene in misura molto minore rispetto ad Ufficio proiezioni luminose nel quale invece svolgevano un ruolo centrale nella costruzione del libro.

«In quegli anni [del Liceo, N.d.R] io avevo delle difficoltà con i temi in classe, che mi venivano sempre troppo corti. Cioè, in brutta erano lunghi, ma quando poi li ricopiavo in bella rimanevano poche righe, per via che cancellavo troppo». (p. 65)

Afferma Terzaghi in «Troppo corto», tema al centro di La Terra e il suo satellite, che funge anche da testo programmatico nonché da dichiarazione di poetica, insieme a «Il tema in classe come genere letterario» (pp. 11-13). Nel primo testo citato l’autore rammenta il consiglio del suo professore del Liceo: «il segreto del tema in classe, ma questo vale più in generale per la vita, è la divagazione».
È proprio la tensione tra la brevità della forma e l’attitudine alla divagazione a rendere interessanti racconti come «Il concerto», «L’eclissi solare», «Il tuffatore» (anticipati dall’autore in «Viceversa letteratura», 11, 2017), ai quali si aggiungono altri trentuno testi, in cui Terzaghi sviluppa le sue passioni per l’arte figurativa, la musica, il cinema, la letteratura («Due film imperdibili»; «Il caso Antoine Doinel»; «La pioggia di Francis Ponge»); la fascinazione per la contemplazione degli eventi atmosferici («La pioggia»; «La neve e l’informazione»; «Oh, un incendio!»; «La pioggia nella sala di lettura»), personaggi e situazioni paradossali («Un funerale sorprendente»; «Milano-Venezia»; «Ricordo del signor Jauch»; «Il bidello Gianni»). Una grande varietà di situazioni e riflessioni che hanno tutti un denominatore comune, quello di partire da qualcosa che «l’autore vede, un aneddoto che cattura la sua attenzione e fa scattare il suo pensiero» (così Mandelli nell’intervista per «Viceversa»). Ad esempio, «Il concerto» prende lo spunto dall’esibizione di un pianoforte meccanico automatico che suona «senza pianista», descrizione di un’esperienza che anche tramite la divagazione permette all’autore di sviluppare un’atmosfera quasi fantastica, sottolineata dai motivi dei «fantasmi», della «maschera mortuaria» e dalla chiusura finale che mette quasi in dubbio l’effettivo svolgimento del concerto.

«Io ascoltavo e intanto mi dicevo che stavo assistendo all’impronta di un genio musicale, perché quelli che il rullo riproduceva erano effettivamente i movimenti meccanici che Grieg in persona aveva impresso allo strumento, come attestato dalla firma autografa che allungando un po’ il collo si poteva scorgere sull’etichetta applicata alla scatola del rullo. Avevo già visto, per esempio, la maschera mortuaria di Beethoven, ma quella era un’impronta fissa, statica, massiccia, mentre questa si dispiegava nel tempo e poteva essere definita un’impronta dinamica. Che rapporto c’era, allora, tra i lineamenti di un volto e una frase musicale?
Uscendo dal salone dove si era tenuto questo concerto di fantasmi, mi sono fermato a guardare da vicino un piccolo dipinto a olio che aveva attirato la mia attenzione. Una fanciulla vestita di bianco piangeva con gli occhi nascosti in un fazzoletto, piegata sulla tastiera di un pianoforte. Il giovane ed elegante maestro di musica seduto al suo fianco fingeva di volerla consolare, ma il suo sguardo tradiva una crudele soddisfazione.
Mi ero messo a fantasticare su questo quadro, quando mi si è avvicinata una signora che aveva tutta l’aria di essere la padrona di casa […] e mi ha detto: «Il quadro si intitola La lezione di pianoforte. È proprio per ovviare a questi dispiaceri, e a questi pericoli, che sono stati inventati i pianoforti meccanici. […] Mi auguro che il concerto sia stato di suo gradimento e spero di riaverla presto tra noi».
Allora mi sono accorto che la sala era vuota e che anche fuori, sulla strada buia, non c’era più nessuno». (pp. 18-19)

I diversi “temi” forniscono un accesso alla fantasticheria, a una scrittura che implica spesso uno sguardo straniato. L’autore riconduce tale punto di vista non solo all’infanzia ma anche alla pratica stessa della scrittura in classe quando «l’insegnante ci assegna un tema e noi abbiamo la sensazione che fra tutti quelli possibili ci sia capitato proprio quello su cui non abbiamo niente da dire» (p. 11). In queste occasioni, rileva Terzaghi rimettendosi nei panni dell’alunno, spesso «avanziamo per approssimazioni, esperienze confuse o di seconda mano, fantasie, associazioni improbabili e idee decisamente troppo brillanti per essere buone» (p. 12). Ecco dunque l’allievo che, a partire da un tema imposto, lascia volare la fantasia e scrive testi che a lui paiono ricchi di straordinarie invenzioni.

«Ci sembra di aver detto la verità o perlomeno di essere stati sinceri. Forse anche di aver fatto una scoperta!» (p. 12)

«Sembrava che avessimo a disposizione l’eternità, e invece non è così. Il tempo è scaduto e lo scrittore che abbiamo sentito nascere dentro di noi deve prepararsi a morire». (p. 13)

Dunque, quella che in principio può apparire la divagazione di un allievo che non sa cosa scrivere, uscendo dalla metafora scolastica, può parlarci del funzionamento di un certo tipo di letteratura, capace di fornirci nuove possibilità d’interpretazione del mondo in cui viviamo.
La scrittura di Terzaghi riflette su sé stessa e rivendica la sua possibilità di un avvicinamento alla realtà e di una conoscenza del mondo. Il componimento scolastico, anche quando è inteso come semplice esercizio di osservazione e di descrizione, funzionando spesso come una scrittura “che gira intorno” al suo oggetto, può rivelare a volte l’inatteso: connessioni tra oggetti ed esperienze a prima vista molto distanti tra loro, come ad esempio in "L’eclissi solare", dove la metamorfosi del sole viene accostata all’opera dell’artista svizzero Markus Raetz con cui sta osservando il cielo nel momento dell’eclissi («“È strano guardare così a lungo così lontano”, mi ha detto Raetz, “è un’esperienza anomala”, poi mi ha passato gli occhiali da eclissi e io ho avuto l’impressione che quella falce di Sole avvolta in una luce nera facesse già parte dei suoi lavori. […]Durante l’eclissi il Sole assume l’aspetto della luna, un po’ come avviene con le sue parole-sculture: un DOG che diventa un GOD, un RIEN che diventa un TOUT, un OUI che diventa un NON», p. 23).
Terzaghi predilige la letteratura che procede per moto orbitale, come fa la luna con la terra (da qui il titolo e l’insistenza sul tema astronomico); la letteratura che a partire da un punto di osservazione distaccato sulle cose, avanzando apparentemente per divagazioni, riesce a cogliere verità profonde dell’esistenza. Così funzionano in piccolo anche i racconti di Terzaghi, che grazie all’ironia, allo straniamento e al paradosso prefigurano altre possibili verità. Una scrittura che non solo cerca di descrivere gli oggetti ma che, manifestando connessioni inaspettate, dà loro una presenza nel mondo che l’esperienza diretta (dalla «Terra») non è in grado di offrirgli.
Terzaghi è molto attento al “montaggio” delle scene nella raccolta e alla costruzione di un macrotesto capace di creare un movimento tra i testi fatto di rimandi, allusioni e costruzione di nuovi significati. L’autore persegue un effetto molto interessante di commistione tra piani temporali diversi, per cui a temi svolti da un io narrante situato nel presente che rivede il passato col filtro dell’età adulta ne seguono altri in cui l’esperienza del periodo scolastico è narrata in presa diretta da un Terzaghi allievo. La convivenza tra presente e passato potenzia l’intreccio di alcuni motivi ricorrenti come la contemplazione e la descrizione della pioggia e dei fenomeni atmosferici (la neve, un incendio), il sistema orbitale terra-luna, l’infanzia, la riflessione sulla scrittura e sugli autori affini al genere “tema in classe”, i gruppi di persone colti mentre osservano da lontano (ad esempio un’eclissi solare) o figure solitarie colte in un momento di vulnerabilità (un riccio sorpreso nell’angolo di un giardino).
Nel confenzionare la raccolta Terzaghi ha in mente grandi maestre e maestri che in qualche maniera hanno sperimentato il “tema in classe”: un giovanissimo Leopardi, Calvino (Palomar, Le cosmicomiche), Francis Ponge (Il partito preso delle cose), Anne Frank e soprattutto Robert Walser con I temi di Fritz Kocher. Presenze che ruotano intorno a La Terra e il suo satellite e si manifestano a più riprese, accompagnando l’autore nelle sue passeggiate lunari. Sono racconti brillanti in cui Terzaghi «insegnante di [sé] stesso» si assegna il tema da scrivere, un’auto-imposizione che ha però il sapore della libertà.