Recensioni / Due prospettive su Wittgenstein: Badiou e Schulte

Per quanto Ludwig Wittgenstein sia ormai un classico del pensiero filosofico del Novecento, è ancora oggi un autore difficile da decifrare: a testimoniarlo, due testi da poco usciti. Il primo inquadra Wittgenstein nella categoria dell'« antifilosofia»: stiamo parlando, afferma Alain Badiou, in L'antifilosofia di Wittgenstein (a cura di Stefano Oliva, Mimesis, pp. 89, € 10,00) di «un eroe del nostro tempo» che con la filosofia intrattiene però un rapporto ambivalente.
Wittgenstein insiste sul carattere pratico di un agire filosofico che non può ridursi alla produzione di testi linguistici; critica con spietatezza gli enunciati della filosofia tradizionale concentrandosi su una trasformazione radicale della propria vita di tipo etico-religioso. L'opera wittgensteiniana avrebbe inizio e fine nel Tractatus logico-philosophicus. Tutto il resto è giudicato «una glossa permanente, un talmud personale» composto da taccuini e appunti. Al rigore mistico del Tractatus si opporrebbe il carattere «sofistico» delle successive Ricerche filosofiche: un «domandare ininterrotto» segnato da ciò che Badiou chiama «stile dell'ape», il susseguirsi continuo di spigolature pungenti, nient'altro che una «chiacchiera sospensiva».
Di segno inverso è il panorama offerto da Joachim Schulte in Wittgenstein Un'introduzione, Quodlibet, pp. 195, € 20,00). Raffinato conoscitore di una filologia tormentata da edizioni quasi tutte postume (fanno eccezione solo il Tractatus e il Dizionario per le scuole elementari), il commentatore austriaco propone una ricostruzione più tradizionale ma non per questo piatta. Il volume si concentra sull'affinità tra Wittgenstein e il pensiero poetico-naturalistico di Goethe. Invece che sul misticismo, questa ricostruzione è imperniata sul concetto di «rappresentazione perspicua»: la descrizione paziente dell'ordito linguistico di cui è intessuta la vita quotidiana.
Piuttosto che individuare il fulcro della produzione di Wittgenstein in una sola opera, Schulte insiste sulla necessità di affrontare a viso aperto la vastità di un lascito testamentario ancora da scoprire, oggi disponibile in rete grazie al lavoro appassionato di un gruppo di ricercatori dell'università di Bergen.