Per molto tempo, durante la lettura del suo La terra e il suo satellite,
non
sono
riuscito
a
comprendere l'età
anagrafica
di
Matteo
Terzaghi, o meglio,
di
colui
che
ha
composto questo zibaldone di cose scritte. Come
se
l'essere
cartaceo
che
circola tra le pagine fosse preda di una specie
di
instabilità.
Ci
muoviamo
per digressioni,
l'età
resta
opaca,
ma riusciamo
a
cogliere
nel
libro
la questione
che
lo
innerva:
che
cos'è la
memoria?
Forse
un'energia,
dicerto non un archivio polveroso. Però
qualche
tipografo
distratto
deve aver
pasticciato
con
la
cronologia delle
pagine,
qualcuna
forse
si
è persa
e
ora
saltiamo
qua
e
là,
sballottati
da
sincopi
temporali.
Ad esempio,
mi
ero
fatto
l'idea
che
lo scrittore fosse un ragazzo, e invece è padre
di
famiglia.
Lo
scopriamo avanzando
nella
lettura,
tra
piccole miniature,
note,
riflessioni,
analisi che
non
sarebbero
dispiaciute
al Robert Walser de I temi di Fritz Kocher
(citato
dallo
stesso
Terzaghi). Dal
nulla
appaiono
storie
di
denti, in
particolare
il
primo
che
la
figlia Lucia
ha
perso.
E
dire
che,
poche pagine
prima,
un
capitolo
ricordava la classica domenica in famiglia, genitori
e
fratelli
in
viaggio
alla
ricerca di un terreno edilizio da acquistare
per
la
nuova
casa.
Di
questa escursione
resta
l'immagine
del
nucleo
famigliare
installato
nello
spazio
come
un'opera
concettuale,
molto Land Art.
A
pensarci
bene,
dovremmo
ringraziare quel tipografo distratto. Posti in quest'ordine, i capitoli formano una
magnifica
costellazione,
tra
libri,
favole,
film,
fotografie,
piante
a rotelle,
enciclopedie,
malattie,
lombrichi,
professori
delle
superiori, pianoforti
meccanici,
Anna
Frank, baffi lunari, metronomi, Francis Ponge e la pioggia. Terzaghi lo sa bene, quel tipografo è proprio lui. I capitoli disegnano un movimento gravitazionale.
Ne
esce
un'esperienza
affascinante.
Come
l'eclissi
che
osserviamo
in
una
pagina
del
libro. Passiamo
dall'astronomia
all'atelier di
un
amico
artista;
da
lì
si
innesca una
riflessione
sull'instabilità
dei personaggi
di
Robert
Walser,
che conduce a un'analogia con la celebre anatra-coniglio
commentata
da
Wittgenstein;
a
questo
punto,
l'eclissi
è già
passata,
anche
se
i
giornali
del mattino
ancora
la
annunciano.
Un salto
temporale
di
qualche
giorno spinge
lo
scrittore
a
chiedersi
se
il ricordo
modifichi
le
cose
che
abbiamo
visto,
tornando
a
Walser,
fino
a formulare
questa
conclusione:
"Uno scherzo
della
percezione
si
era
trasformato in uno scherzo della memoria.
Ma
se
questo
era
uno
scherzo, allora che cosa sono - dove sono - le esperienze
che
abbiamo
vissuto?
E se la nostra memoria è così labile, in cosa
consiste,
alla
fine,
la
nostra stessa vita?". Il fatto è che il passato fa di noi delle "finzioni": degli esseri
instabili.
La
memoria
non
è
altroche la possibilità combinatoria di un mondo
nel
quale
il
tempo
si
è
sfarinato,
di
cui
noi
restiamo
l'io
sperimentale. Questo bel libro ne è la conferma.