Recensioni / New York, ritratto di una città . Di profilo

A Fiesole la prima mostra dedicata al disegnatore-illustratore matteo pericoli

Una New York vista da vicino, da molto vicino. Una new York raccontata da un giovane architetto italiano che ha camminato, pedalato, navigato attraverso la Grande Mela per poi ricostruirla «nella sua completezza». Il risultato più evidente di questo viaggio è racchiuso in tre lunghi rotoli disegnati (due da dodici metri ciascuno, il terzo da quasi dieci) che ripetono per intero lo skyline della città: East Side, West Side più il cuore di Manhattan visto da Central Park. Tra lunghi rotoli dove sono ben visibili le «ferite» dell’11 settembre ma che proprio per questo assumono un valore quai terapeutico, testimoniando da una parte il valore della memoria e, dall’altra, il desiderio di guardare oltre. Non solo suo ma, forse, di tutta new York.
Questi rotoli dipinti sono il nucleo della prima mostra italiana dedicata a Matteo Pericoli che si inaugura sabato e che per tre mesi verrà ospitata nella Basilica di Sant’Alessandro a Fiesole: schizzi, disegni e oltre 1400 fotografie racchiusi per un ideale «volo a vista sull’architettura del Novecento e su una incredibile selva di palazzi e grattacieli» trasformati nel simbolo stesso della modernità e del potere, sia che si trattasse di art-déco o di decostruttivismo. E sia che si trattasse di Tribeca o di Battery Park, del Bronx o di Washington Heights, di Columbus Circle (qui sotto) o del ponte di Brooklyn, della Fifth Avenue. Il tutto ripreso rigorosamente di profilo, o forse sarebbe meglio dire di skyline.
Al visitatore, la scelta del mood ideale per avvicinarsi alla mostra New York e altri disegni, nata dall’impegno dell’Assessorato alla cultura del comune di Fiesole e che può contare su un suggestivo allestimento curato dalla Fondazione Michelucci oltre che su un piccolo libro-catalogo, dallo stesso titolo, edito da Quodlibet. Ma, al di là delle specifiche propensioni , resta il fatto che a Sant’Alessandro vada in scena anche buona parte della vicenda personale di Matteo pericoli, figli del celebre disegnatore Tullio, a sua volta disegnatore e illustratore (tra le testate con le quali regolarmente collabora la Stampa, New Yorker, New York Times). Nato a Milano nel 1968, Matteo incrocia la passione per il disegno sin da bambino: «Quand’ero piccolo mio padre prendeva spesso carta e matita per farmi dei disegni. Ricordo anche che da quel bastoncino di legno che lui teneva in mano usciva un filamento irregolare, ondulato, alle volte preciso e netto altre incerto e tremulo, che come per magia creava figure, animali, personaggi e paesaggi».
Sarà proprio la sua passione per il disegno a spingerlo ad iscriversi al Politecnico, dove si laurea in architettura con Volfago Frankl. Non prima di aver scoperto (nel 1995) la Grande Mela, «una città diversa da qualsiasi altra città avessi mai visto» e dove scegli immediatamente di vivere e di sposarsi (il nome della moglie, Holly, riporta immediatamente alla mente un altro mito, Holly Golithly protagonista di Colazione da Tiffany). Quella new York che matteo pericoli ha raccontato nei suoi rotoli disegnati (diventati due libri, Manhattan svelata e Il cuore di Manhattan pubblicati in Italia rispettivamente da Leonardo e Bompiani) comincia a fa capolino nella sua vita dalla finestra del suo studio dalle parti della 102esima e da quello dello studio di Richard meier seulla 36esima, dove entra nel 1997 per lavorare alla chiesa del Giubileo di Roma (ebbi la fortuna di lavorare fianco a fianco con un architetto che aveva passato anni a disegnare dettagli»).
E dettaglio dopo dettaglio spariva quella paura che idealmente accomunava Matteo a Saul Steinberg, illustratore-istituzione del New Yorker , che in un ‘intervista aveva detto: «Mi resi conto che non avrei mai fatto l’architetto quando comincia ad essere terrorizzato dall’idea che una delle mie linee potesse diventare realtà». ma la vita è fatta anche di altre contingenze, non necessariamente artistiche: «Ogni giorno che mi facevo un viaggio in bici per andare al lavoro, dalla 102esima strada giù fino alla 36esima strada cercando di trovare una chiave per capire la città». La chiave viene scoperta quasi per caso, nel maggio 1998: «Presi la Circle Line, un battello per turisti che circumnaviga l’isola di Manhattan, cinquanta chilometri in tre ore. Fu durante quel giro che mi venne voglia di disegnare tutta l’isola, e non solo un pezzo, come la si vede dal di fuori, dall’acqua, senza escludere nulla».
Dopo più di un anno «di righe notturne e filamenti tremuli», dopo aver abbandonato lo studio Meier ed aver iniziato a insegnare architettura alla St. Ann’s School di Brooklyn, prendeva corpo il primo dei due disegni da dodici metri di Manhattan (quello da dodici metri, quello del lato ovest). Poi sarebbero venute le strisce dedicate al lato est e alla città vista da Central Park. In una sorta di compendio di «anatomia urbana» dove tutto è ripreso nella propria interezza. Come visto dal suo confine più estremo . Il risultato? Un piccolo-grande sogno architettonico dove «quella paura di Steinberg che le linee possano diventare realtà» si mescola felicemente «con la memoria delle risate che mi facevo nel vedere i filamenti uscire dalla matita di mio padre».