Recensioni / La «mossa del cavallo» che portò al Superstudio

Cosa sarebbe rimasto della mitica Superarchitettura, la mostra del 1966 alla Galleria Jolly 2 di Pistoia, senza le fotografie di Cristiano Toraldo di Francia che ne hanno immortalato gli oggetti stranianti, l'atmosfera e soprattutto gli autori: il gruppo Superstudio,da lui fondato insieme ad Adolfo Natalini, e gli amici-rivali Archizoom?
Non si è riflettuto abbastanzasu quanto quella mostra sia stata «radicale»: non solo nelle forme colorate e spiazzanti, che daranno il via alla formidabile stagione dell'anti-design, o nel sofisticato lessico neoavanguardista del manifesto, quanto piuttosto nell'atteggiamento performativo, quasi situazionista, che sarà la cifra artistica e persino esistenziale di Cristiano Toraldo di Francia.
Classe 1941, alla Facoltà di architettura di Firenze, già in clima di occupazione, Toraldo arriva all'inizio degli anni '60 da una miscela di esperienze artistiche e scientifiche: su tuttela figura del padre, il famoso fisico e filosofo della scienza Giuliano Toraldo di Francia.
La fotografia sarà lo strumento attraverso cui il giovane Cristiano documenta un modo nuovo di intendere il progetto. Poi arriveranno il disegno e il collage, in quell'attitudine da bricoleur che produrrà alcuni dei più memorabili oggetti di design, come la lampada Gherpe per Poltronova, ora nei musei di tutto il mondo.
Nel frattempo l'avventura del Superstudio è raccolta da altri compagni di viaggio, da Gian Piero Frassinelli e ai fratelli Roberto e Alessandro Magris, a Sandro Poli. Insieme esplorano un mondo a cavallo tra architettura e design, urbanistica e politica, antropologia e letteratura. La scommessa è dimostrare cheil «prodotto» dell'architetto è qualcosa che eccede la sempli-ce funzionalità e materialità del manufatto e si inscrive in unadimensione più ampia e comunicativa, politica nel senso chene avrebbe potuto dare Debord. Se c'è un'attitudine che Toraldo ha sempre coltivato è stata proprio quella dello spiazzamento - la «mossa del cavallo», come amava chiamarla lui - che porta il Superstudio in un rutilante superamento di sé stesso: dalla algida grammatica degli Istogrammi di architettura alle grandi vision distopiche del Monumento Continuo, agli Atti Fondamentali (film di cui sono sceneggiatori, registi e attori), il più ambizioso tentativo di affrontare la relazione fra vita e progetto.
Per Toraldo l'esperienza radicale non è una torre d'avorio sucui arroccarsi e pontificare, ma la costruzione di una formamentis. Dopo il Superstudio intraprende una carriera professionale indipendente: sofisticati interni, numerosi oggetti di design, diversi (e non secondari) edifici a Firenze e in giro per la Toscana. Il rapporto con Firenze è però destinato a incrinarsi a causa della vicenda della pensilina realizzata davanti al capolavoro michelucciano della stazione di Santa Maria Novella.
Mal tenuta e non capita dai fiorentini, dopo molte polemiche la pensilina viene demolita durante il mandato di sindaco di Renzi (2010). Ma Toraldo ha giàda tempo spostato il baricentro delle attività e della vita nelle Marche, dove arriva con l'entusiasmo (e l'aspetto) di un ragazzino: ricomincia a lavorare come architetto insieme a Lorena Luccioni, tesse nuove relazioni, ma soprattutto si dedica animae corpo all'insegnamento nella Scuola di architettura di Ascoli Piceno (Università di Camerino), fin dall'anno accademico inaugurale 1993-94.
Per lui le Marche sono oggetto di nuova curiosità, alimentata da fenomeni urbani così lontani da quelli della sua città d'origine e da una scuola piccola e vivace. Per quei territori Toraldo è un dono verso cui esprimere gratitudine e rispetto, un nponte verso un mondo più grande, fatto di discipline senza confini, di voglia di sperimentare, impazienza e ottimismo intellettuale. Lo testimonia il suo ultimo periodo: mentre animava l'ultima stagione di indagine sul Superstudio, con la grande mostra del cinquantenario arrivata fino in Cina, insieme ai suoi studenti di disegno industriale, invece di rassegnarsi alle insidie della malattia, riuniva architettura, design e moda, chiedendosi, con un ultimo libro che bene lo rappresenta (Quodlibet), come «Ri-Vestire» la voglia di utopia dei giovani allievi.