Tra scienza e politica
La ricerca del sé. Indagini su Benedetto Croce, edito da Quodlibet nella prestigiosa collana che ebbe tra i suoi fondatori Gianni Carchia, evidenzia già dal titolo la peculiarità del lavoro condotto da Alfonso Musci intorno alla voce più eminente del pensiero italiano tra Ottocento e Novecento. È senz’altro merito di questo giovane studioso
aver ripreso e discusso, in una prospettiva fermamente attuale, la tradizione dello storicismo in Italia, al di là della sua crisi. Docente universitario “abilitato” e “militante in proprio”, Musci ha
alle sue spalle studi e iniziative di una vivace formazione all’università di Pisa, con assidue relazioni e frequentazioni presso l’Istituto
Italiano per gli Studi Storici e l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento.
È stato nella redazione del “Giornale critico della filosofia italiana” e
de “Il contesto”, per qualche anno rivista degli studenti della Scuola
Normale Superiore e del Sant’Anna di Pisa. Di recente ha curato l’edizione critica di Etica e politica, una delle opere più straordinarie di Benedetto Croce.
Pubblicata, come ha ricordato Marta Herling, nello stesso anno in mcui ricorreva la nascita del filosofo, l’opera, nell’edizione diretta da
Gennaro Sasso, ha sollevato un dibattito autorevole e appassionato. Al Senato della Repubblica (il 12 settembre del 2016), all’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento (il 17 novembre), nelle sale dell’Istituto della Enciclopedia Italiana (il 30 dello stesso mese), Giorgio Napolitano e Marta Herling, Emma Giammattei e Gennaro Sasso, Tullio Gregory e Paolo D’angelo e Carlo Galli hanno variamente evidenziato i passaggi significativi, italiani, europei e occidentali dell’insegnamento crociano. Musci, nelle sue “Indagini”, conserva in qualche modo l’eco di tale dibattito, riproponendo l’eccellente
nota introduttiva al volume crociano di Bibliopolis e sottolineando
a più riprese quanto l’edizione, coi suoi testi e la sua scrittura, illumini e segnali il lavoro di curatela di generazioni di studiosi, con il
loro apprendistato (di coautori), che in prospettiva critica focalizza
la storia del libro.
Disciplinamento e autobiografia
Significativamente, all’inizio delle “Indagini” Musci promuove come
epigrafe una dichiarazione di Carl Gustav Jung: «l’individuo è niente, il che naturalmente è una falsità». La citazione singolare ma forse,
per diversi aspetti più che allusiva,4 segnala sotto traccia il motivo
dell’intera ricerca: “l’esercizio autobiografico” praticato da Croce nel
suo lavoro o se si vuole la professione chiaroscura che impregnava nel
profondo la sua scrittura.
In effetti l’esercizio crociano dell’autobiografia sembra assumere, in
base alla ricerca di Musci, i tratti di un modello microstorico di disciplinamento, offerto alle élite oggi nel Big Bang della rivoluzione
tecnologica e proposto per un appropriato smart working dell’angoscia politica, dei rischi della presenza (de Martino).
Passo dopo passo, Musci riprende i motivi rielaborati dai massimi
studiosi del filosofo napoletano e invita a declinarli in un trend appropriato, progressivo, presente, di cronaca e storia, di politica e
scienza; in una strategia di connessione sociale, politica e culturale,
improntata a un canone diverso da quello solitamente, per così dire,
della pre-globalizzazione, pre-digitale, ancora eurocentrico, ancora
della storia dei “partiti operai” e degli intellettuali nazionali, della Italian Theory.
A tratti sembra che Musci, “percorrendo le sale della
biblioteca Croce” e scavando nella “bibliofilia” e nell’“erudizione”
del filosofo, evochi come “potere retorico di salvezza” (per una nuova
sinistra), una politica della virtù, della prudenza, dell’avvedutezza,
della dissimulazione. Come tale, una politica storicamente capace di
riprendere nella “negatività del reale”, la “parentesi” del fascismo e di
ripensarla su scala globalizzata in quanto “malattia morale” dei nostri
giorni: la “malattia” della postdemocrazia e del populismo o, per dirla
sulla scia di Croce e dei suoi studi sul Barocco, dell’“indifferentismo
etico”, del “dispiritualizzamento”, degli “esibiti realismi”: una “malattia” che altera con la propaganda, la “comunicazione del vero” e
che, per rimarcare il tema delle Indagini, neutralizza, a tutt’oggi,
l’avanzare necessario del lavoro come autore politico, inedito, contemporaneo, troppo a lungo imbrigliato, nell’“individuo empirico”.
Rottura generazionale e sinistra in Italia
Decisamente, nel procedere delle Indagini, i capitoli Biografismo
e moltitudine dell’io, Dall’autobiografia alla politica della virtù
si mostrano come spie di un paradigma. Musci pone in evidenza il
motivo dell’esercizio autobiografico, privilegiando le letture kantiane fatte da Croce e indicate oltre che da Garin, Ferrari ecc. anche
da Claudio Cesa nel corso dell’edizione nazionale delle opere del
filosofo.9 In più però, e nel senso di una rottura generazionale che
si dipana dai capitoli citati, lo stesso scavo nella complessità civile,
etico-politica dei testi crociani, adombra una riflessione misurata e
discreta, a ridosso, oggi, della grande disfatta della sinistra in Italia.
Per questo tratto, Musci, anche lui proveniente dalla dimensione
dei cervelli in fuga, sembra consegnarci il Croce dei Frammenti di
etica (1922), legato all’autobiografico Contributo alla critica di me stesso (1918) – considerato “un lungo Frammento” – come
un autore cosmopolita che nel suo classico farsi tale, si autointende
partecipe, nel suo tempo, di un argine storico, liberale e socialista,
all’“imbestiamento dello spirito”.
A sostegno di questo paradigma vengono intrecciate, con assoluta
originalità, più letture: la “costante presenza della morte” nel vissuto
e nell’opera crociana, indicata da Antoni; l’“angoscia” enfatizzata da
Contini; il rigoroso “invigilare” sul proprio sé, sottolineato da Sasso;
l’accento sullo “storicismo eroico” di de Martino. Nei loro snodi,
le “Indagini”, dispiegate, da vicino e da lontano, severamente, puntigliosamente, con richiami perfino a Freud e alla storia della psicoanalisi – impensabile tra gli storicisti italiani, a metà Novecento in
polemica con Cesare Musatti – giungono a mettere in primo piano le
sequenze di un Croce vivente, o per dirla semplicemente, al seguito
di Contini, come “pensiero vivo”.
Il farsi autore è in effetti scandagliato nel suo insieme e sottoposto
«alla prova di mondi storici alla cui diretta esperienza storiografica
esso non era nato». Nel chiudere il libro con l’eccellente capitolo
sulla “loica” del Mantegna, il lettore non può non avvertire quanto
la ricerca del sé di Musci, storica e politica, riscopra con forza, con i
suoi andirivieni, la vitalità classica del maestro di palazzo Filomarino.