Viviamo
una
crisi
infinita
che
non
produce
alternative
reali.
Ogni
soluzione
porta
a
una
nuova
crisi,
e
così all'infinito.
Il
mare
dell'eterna
ripetizione
del
presente, un
presente
privo
anche dell'incognita
del
futuro,
è talvolta
solcato
da
miraggi salvifici:
il
populismo,
ad esempio,
l'ultima
scialuppa lanciata
ai
naufraghi.
Presentato
come
alternativa
al
capitalismo
di
matrice
neoliberale,
in
realtà
è
funzionale
al mercato,
il
principio
politico
che
organizza
tanto
la
vita
economica,
quanto
la
vitas ociale
e
la
nostra
antropologia.
Strettamente
collegata a
questo
suggestivo
modernariato
è
l'evocazione
di uno
«Stato
forte»,
«stato
nazione»,
«sovrano».
Concepito come
l'alternativa alla
globalizzazione,
in
realtà
è
un'articolazione
del
capitale
e
del
suo
governo.
La ripresa
del
protezionismo, della
guerra
commerciale
e quella
contro
i
migranti,
il rafforzamento
delle
politiche
di
polizia
e
il
ritorno
ai capi
carismatici
che
parlano al «popolo» su Facebook sono
una
conseguenza
di
quella
che
Gramsci
definì
la
«crisi
organica»
del
capitalismo:
la
rinazionalizzazione delle
masse,
un
fantomatico
«partito
unico»
«oltre
la destra
e
la
sinistra»
che
evita
di
mettere
in
discussio nell'egemonia del capitalismoe
unifica
il corpo
sociale
sotto
un'unica
bandiera
contro i «nemici». Questa
è
l'analisi
della congiuntura
politica
esposta da Dario Gentili ne La crisi come arte di governo (Quodlibet,
pp.
118,
euro
16).
Gentili
spiega
la
natura
della
«crisi»
in
cui
viviamo
con
un'altra
importante
categoria
di Gramsci:
l'interregno
dove
il vecchio
muore
e
il
nuovo non
può
nascere.
Siamo
al centro
di
una
«rivoluzione passiva»
dove
la
trasformazione
politica
è
orientata
alla
conservazione
di
un
sistema
economico
che
è
all'origine
della
crisi.
Il
capitalismo
è
la
forma
di
questa
crisi che non ha mai fine. È stato
Marx
a
definire
il
suo
sviluppo
in
questi
termini.
Ancor
di
più
oggi
la
crisi
è
diventata
un'arte
del
governo. All'orizzonte
non
c'è
una
liberazione,
né
una
cura.
Non c'è
un
sovrano
che
«decide sullo
stato
di
eccezione».
La funzione
della
sovranità
sta nell'immunizzare
dai
rischi e
amministrare
gli
squilibri, conservando
l'ordine
economico
che
li
genera.
Ciò che permette di comprendere
queste
ambivalenze
è
una
filosofia
del
governo,
non
la
teoria
della
sovra-ità.
Quella
di
Friedrich
von Hayek, uno dei padri fondatori
del
capitalismo
in
versione neoliberale,
la
cui
opera
è
ripercorsa
in
maniera
sintetica da Gentili. Destino singolare,
quello
di
Hayek:
evocato da
tutti,
poco
conosciuto, equivocato
in
gran
parte
delle
sue
formulazioni,
scarsamente compreso nelle sue decisive
premesse
ontologiche in
un
dibattito
che
oppone un'utopica
efficienza
del mercato
al
«ritorno»
dello
stato
«sovrano».
Il
fondamento della
società
profetizzata
da Hayek è il mercato che non risponde
a
criteri
politici
né
di giustizia.
Dalla
ricostruzionedi
Gentili
emerge
invece
una ricostruzione realistica: Hayek
ha
annunciato
un'epoca
in
cui
lo
Stato
diventa
una funzione
della
politica
che conserva
l'ordine
attraverso la
crisi
permanente.
Pensare che
sia
possibile
riconquistare
una
funzione
«originaria» dello Stato, quella sovrana distinta
dal
mercato,
è
probabilmente
un'illusione.
Il
problema non è quello di ripristinare
un
equilibrio
tra
Stato
e mercato,
ma
liberarsi
di
un governo
che
usa
il
rinnovato dualismo
per
confermare l'esistenza
di
un
ordine
«naturale»
in
cui
la
vita
è
precaria,
vulnerabile
e
subalterna. Gentili
respinge
l'idea che
il
potere
sia
una
mega-macchina
che
domina tutto
e
nulla
lascia
alla
speranza
di
una
trasformazione.
Anche
il
potere
che
nulla sembra
lasciare
fuori
di
sé,
è in
realtà
il
prodotto
di
rapporti
di
forza.
L'interregno in
cui
viviamo
è
il
risultatodi
una
storia,
non
l'esito
di un
incantesimo.
Per
romperlo
bisogna
uscire
dalla
dimensione
dicotomica
nazionale/globale;
popolo/élite; autoctono/migrante.
Rassegnarsi
a
questo
assetto
bipolare
della
politica
contemporanea
significa
riprodurre
il dispositivo
della
crisi.
L'alternativa passa
per
una risignificazione
del
conflitto.
Non
quello
funzionale
alla
neutralizzazione
in
atto, ma
quello
che
istituisce
una forma di vita che prova a sottrarsi
al
pensiero
binario,
intreccia
elementi
molteplici, connette
dimensioni
eterogenee
non
riducibili
all'ordine
spontaneo
del
mercato che
Hayek
ha
definito
«cosmo»
o
«catallassi».
«Bisogna creare
un
altro
cosmo»,
scrive
Gentili,
che
non
dipende nemmeno
dal
fantasma
del potere
sovrano.
Si
tratta
di un
«cosmo»
mobile,
mai
dato
una
volta
per
sempre;
basato
sul
conflitto
sulla
formae
sul
contenuto
del
vivere
insieme;
su
una
potenza
irriducibile
alla
mera
sopravvivenza,
ma
che
crea
nuove
forme di
vita.
«Come
riaprire
il campo
delle
alternative
politiche?»,
questa
è
la
domanda che
percorre
il
libro
dall'inizio
alla
fine.
Decidiamolo
insieme
con
un
atto
di
creazione
che
scombina
le
parti
e
le rimette
in
gioco
in
maniera imprevedibile.