Incontro Francesca tra i boschi del Casentino. È una ragazza sorridente sulla
trentina, ha studiato a Siena, lavorato
ad Arezzo, ma poi ha scelto di restare nel suo piccolo paese, Pratovecchio
Stia, ogni anno meno popolato. Lavora
in comune e ha sposato il conducente
del treno locale che ogni mattina porta
i pendolari in città. Sembra convinta
della sua scelta. L'Arno bambino scorre accanto a noi con un piacevole gorgoglio. Claudio e Carla, i padroni del
vecchio mulino (il primo lungo il corso
del fiume: www.molindibucchio.it),
qualche anno fa hanno rifiutato un assegno in bianco perché la meravigliosa
costruzione non fosse trasformata nella
seconda casa di qualche ricco notaio,
chiusa per la maggior parte dell'anno.
Ora invece è un piacevole luogo di sosta
e un ecomuseo per le scuole della zona.
Anche Marta ha scelto di restare: alleva asini e bambine, tiene puliti i sentieri
per i camminatori, qualche volta si arrabbia quando misura la distanza tra la
realtà e i suoi desideri, ma poi le passa
(www.gliamicidellasino.it).
Ascoltando queste esperienze in
un tranquillo giorno di luglio ho pensato che i poeti hanno sempre celebrato chi sceglie di lasciare tutto e partire.
«Ma può dirsi un viaggiatore / solo chi
parte per partire: lieve / ha il cuore a
somiglianza del pallone, / non si allontana mai dal suo destino, / senza sapere
perché dice: partiamo!» (Charles Baudelaire, Il viaggio). Restare è stato spesso considerato la negazione del viaggiare, poca disponibilità a mettersi in
discussione, scarsa inclinazione al disordine, alla scoperta, all'incontro. Chi
sceglieva di restare era considerato un
fallito, un perdente. Ma oggi, quando la
maggior parte della popolazione mondiale ha lasciato i paesi e la campagna
per la città (si registrano tuttora duecentomila partenze al giorno), il vero
coraggio non è forse quello di chi resta?
L'antropologo Vito Teti nel suo libro Pietre di pane. Un'antropologia del
restare (Quodlibet) ha coniato il termine restanza, modellandolo su parole
come erranza o lontananza. «Restanza denota non un pigro e inconsapevole
stare fermi, un attendere muti e rassegnati. Indica, al contrario, un movimento, una tensione, un'attenzione. Richiede pienezza di essere, persuasione,
scelta, passione ... Significa raccogliere
i cocci, ricomporli, ricostruire con materiali antichi, tornare sui propri passi
per ritrovare la strada, vedere quanto è
ancora vivo quello che abbiamo creduto morto e quanto sia essenziale quello
che è stato scartato dalla modernità.
Volontà di guardare dentro e fuori di
sé, per scorgere le bellezze, ma anche le
ombre, il buio, le devastazioni, le rovine e le macerie. Non sono concessi autocompiacimento, autoesaltazione ma
neppure afflizione».
Dunque restanza come scelta di
vita consapevole, presidio attivo del
territorio, cura dei beni comuni; e
niente nostalgia fine a se stessa, celebrazione di un passato idealizzato e
forse mai esistito (il «buon tempo andato», il paese-presepe). I pensionati
di ritorno non bastano. Dopo un decennio di crisi e disillusione occorre
ripartire da forme economiche nuove:
albergo diffuso, agricoltura biologica,
cibi e vini a denominazione d'origine
controllata, lavoro remoto, nuove tecnologie...
L'idea di restanza ha preso forma
nei piccoli comuni dell'Italia meridionale, per esempio l'Irpinia del paesologo Franco Arminio. Vito Teti invece
pensa soprattutto alla sua Calabria, da
dove tutti i giovani sono partiti e per
le strade s'incontra solo gente matura.
Qui da qualche anno il piccolo borgo di
Paludi (Cosenza) - il comune italiano
che ha perso più residenti nel confronto
tra i censimenti del 2001 e 2011 - a inizio agosto propone un originale festival delle Spartenze (http://festivaldellespartenze.it). Paludi è povero ma bello
e il festival cerca di trasformare la sua
debolezza in un punto di forza, richiamando cittadini, emigranti e visitatori.
P, evidente che la restanza è nata in
un contesto molto specifico e non può
essere applicata tale e quale su diversa
scala. E tuttavia il suo messaggio sembra avere una portata e un significato
più larghi, potenzialmente universali.
Per cominciare sono sicuro che in molte valli del nostro Paese l'idea di restanza troverebbe un'eco favorevole. E se
saltiamo dall'infinitamente piccolo al
gigantesco, da un paese a un continente, siamo sicuri che la migrazione sia
l'unico destino possibile per l'Africa?
Secondo le stime delle Nazioni Unite,
la popolazione africana raggiungerà
i 2,5 miliardi di individui nel 2050. In
quell'anno la sola Nigeria avrà lo stesso
numero di abitanti dell'intera Unione
europea. Partiranno tutti?
l'avventura del restare - la fatica, l'asprezza, la bellezza, l'etica della restanza - è la faccia in ombra della
luna, la dimensione meno conosciuta
(ma non meno importante) del viaggio
contemporaneo. Saldare in un unico
racconto la storia di chi è partito, di chi
è rimasto e di chi è tornato dà una profondità nuova alla nostra esperienza di
«Viaggiatori d'occidente».