Recensioni / Roberto Moliterni, La casa di cartone

Il paesaggio in cui è ambientata questa narrazione di Roberto Moliterni, classe 1984, narratore e scrittore per il cinema, vincitore dell'edizione 2010 del Premio Malerba per la sceneggiatura In prima classe, è paesaggio metropolitano dove la natura è assente: non ci sono alberi, acque, fiumi, albe e tramonti, stagioni o variazioni climatiche o, quando essi si presentano, vengono situati in un altro da sé esotico e straniante, immerso nella dimensione del consenso omologato, dell'accettazione riflessa nello specchio virtuale del luogo comune.
Vivono davvero delle loro autentiche identità questi personaggi, un uomo e una donna che avviano una relazione sentimentale e la conducono, per tappe successive, fino al traguardo della convivenza duratura?
O vivono secondo le regole che immaginano gli altri si aspettino da loro? Secondo gli schemi dettati dall'economia globale e dalle mode indotte dal profitto e dal bisogno eterodiretto del consumo?
È il linguaggio stesso in cui si struttura il romanzo a risponderci: un tessuto fantasmatico che avvolge la storia e la scherma da ogni reale contatto con la vita, procedendo per frasi fatte, lessemi che sembrano frutto di un copia-incolla pubblicitario, breve e dialogico andamento feisbucchino.
La coppia si muove dentro le proposte del sogno di realizzazione del sé misconosciuto della contemporanea e colorata società dei consumi usa e getta di media qualità di cui è gigantesco emblema il centro commerciale Ikea.
Nella raffigurazione di Ikea troviamo esibiti tutti gli usa e getta del nostro liquido ed effimero mondo contemporaneo: l'usa e getta dell'erotismo, del sentimento, della parola, della costruzione del nostro ambiente vitale destinato a non sopravvivere a lungo proprio come quella casa di cartone che domina e pervade l'immaginario dei protagonisti.
Non mi vengono in mente altri esempi letterari del passato cui paragonare e raffrontare questa narrazione; piuttosto ricordo alcune commedie all'italiana degli anni Sessanta o Settanta, ad esempio Le Coppie e Dove vai in vacanza: l'occhio del grande fratello cinematografico illumina impietosamente le vicende dei due anonimi e innominati protagonisti, nel contesto di un rinnovato impegno neorealistico che denuncia i perduranti cascami della omologante cultura "alternativa": "E allora prima facciamo esperienze culturali; però siccome lo hanno detto nei film, ci sembra bello lo stesso; corriamo sulla spiaggia come nei film di Nino D'Angelo; sfogliamo con distrazione la 'Gazzetta dello Sport' o 'Donna moderna' oppure leggiamo un libro in cima alla classifica della `Lettura'; indossiamo vestiti leggeri e un po' eleganti, soprattutto di lino, e un maglioncino da mettere sulle spalle, o legare in vita".
Il narratore si ritrae per quasi tutto il romanzo di fronte a questa rappresentazione e lascia che il significato si presenti a noi, a poco a poco, attraverso il vacuo calco del parlato dialogico della coppia: solo nelle ultime pagine il terzo protagonista, l'autore, esce fuori dalla macchina da presa e, per lampi, tira le fila e svela la corale ragione necessitante del testo: "Le nostre case sono sempre più spoglie: non esistono più videocassette, dvd, libri, album di fotografie. Tutto si trova all'interno di cloud. Siamo investiti da un processo di smaterializzazione della realtà, è finita l'era delle cose. Non più pagare per avere, ma pagare per usare, e quello che possiamo usare è infinitamente di più di quello che possiamo possedere".
E se una delle caratteristiche dei buoni romanzi è quella di dire per noi, storicamente, il mondo in cui viviamo e di renderci empaticamente consapevoli del luogo in cui ci troviamo, ebbene credo che il romanzo di Roberto Moliterni ci riesca pienamente e che a lui sia giusto rendere il nostro civile ringraziamento.

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