Recensioni / Ascoltando l'Eco di Berman

Translation. Un convegno del semiologo a Urbino

Alla fine però diranno (dicono) «quasi la stessa cosa». Umberto Eco e Antoine Berman. Il semiologo e il fantasma del suo antagonista. Il fondatore francese della traductologie e l'autore italiano più tradotto nel mondo. Il saggista nostrano che, dopo sei anni sei di laboriosa e segreta ricerca, ha licenziato nella scorsa primavera l'ampio studio sul Dire quasi la stessa cosa (Bompiani). E lo studioso d'Oltralpe che, trascurato in vita dall'attenzione del grande pubblico e dei grossi accademici, ha svolto la sua decennale attività di linguista, scrittore e traduttore da varie lingue al Collège International de Philosophie di Parigi e vive solo ora, post mortem, la propria riscoperta al di qua e al di là delle Alpi (in Italia, il merito della sua rinascita è tutto della casa editrice Quodlibet, che ne ha pubblicato La prova dell'estraneo, 1997 e recentemente La traduzione e la lettera o l'albergo nella lontananza). Il duello tra Eco e l'"anti-Eco", tra il professore piemontese e l'eco postuma del suo sfidante si terrà oggi a Urbino, ma non sarà né violento né cruento. E non solo perché Eco prenderà in pomeriggio la parola con la viva voce, vivo e presente nelle aule dell'Università degli Studi, insuperabilmente avvantaggiato rispetto a Berman, defunto nel '91.
Quella che apparentemente si presenta come un'opposizione tra le tesi dell'ordinario di semiotica a Bologna e quelle del ricercatore parigino è - appunto - solo un'opposizione apparente.
In sostanza, i due "traduttologi" sarebbero sulle seguenti posizioni contrapposte. L'uno (Eco) tutto concentrato sull'effetto del testo, da riprodurre in versione nella lingua di destinazione; l'altro (Berman) tenacemente rivolto al documento di partenza e impegnato a mantenerne la letteralità. L'uno target oriented, l'altro source oriented. L'uno attento ad adattare l'originale all'"aria di casa" della cultura di arrivo"; l'altro disposto a sconvolgere le consuetudini (linguistiche e domestiche) per ospitare l'estraneo. Se fosse così semplice - senso contro lettera, arbitrio contro fedeltà, l'altro contro lo stesso - sarebbe troppo semplice: e il fantasma di un vecchio testo, Eco versus Berman, tuttora circolante in Internet ad uso di lettori sbrigativi, sembrerebbe incoraggiare simili semplificazioni.
In realtà, i suddetti concetti contrapposti sgranano allo stesso modo tutta la loro problematicità sotto gli occhi di entrambi gli studiosi. L'«effetto di senso» inseguito da Eco non è quello approssimativo e generico del senso comune e la "lettera" per cui Berman auspica fedeltà ed esattezza non è quella che biecamente potrebbe riprodurre una versione automatica parola per parola. Il senso di un'opera aspira a portare con sé, trasferendosi da una lingua all'altro, con il proprio patrimonio di cultura anche la dote depositata nell'impasto linguistico della prosa originale.
Di traduzione letteraria stiamo parlando, e le pagine che i due studiosi vi hanno dedicato, presentano fin troppi spunti comuni. Entrambi parlano di «esperienze» di traduzione (sempre singolari, qualche volta personali, come gli Esercizi di stile di Queneau tradotti da Eco) piuttosto che di una metodologia sistematica e astratta, di un'etica della fedeltà, della centralità del testo (privilegiato rispetto al suo autore e persino al «significato»), dell'assenza di una «cosa in sé» celata dietro le parole… I duellanti, insomma, depongono la spada e si stringono la mano. Invece, la vera notizia, clamorosa più dello scontro annunciato, è che l'Università di Urbino organizzi ben «Tre giornate sulla traduzione letteraria». Fino a domani sera scrittori linguisti, traduttori ed editori si confronteranno sull'arte più ambigua e trasparente, bistrattata e necessaria (la più silenziosa, la più faconda) del «dire quasi la stessa cosa».