Recensioni / Lutto, malinconia e depressione

Il dolore ha da sempre ispirato nell'uomo riflessioni e creazioni artistiche, è persino scontato dirlo. Ma nel corso dei secoli ha anche assunto forme e denominazioni diverse, legittimate dalle interpretazioni di medici, psicologi, psichiatri, oltre che di filosofi e poeti. Alcuni recenti saggi stanno rinnovando questa riflessione, a partire dal concetto di “malinconia” che ha fatto interrogare personalità come Ippocrate e Aristotele, a lungo attribuita allo squilibrio tra la bile nera e gli altri umori che avrebbero governato il corpo, più di recente oggetto continuativo dello studio di Jean Starobinski, psichiatra e critico letterario scomparso pochi mesi fa all'età di novantanove anni. L'atteggiamento del malinconico, sosteneva Starobinski, nasce dall'impossibilità di passare dalla riflessione introspettiva all'azione verso l'esterno e per questo è un tipo estremamente diffuso tra i grandi artisti, basti pensare a Baudelaire, Kierkegaard, Keats.
Sulla Melencolia I di Albrecht Dürer, forse la massima espressione iconografica su questo carattere della psiche umana, si concentra il saggio a metà tra filosofia e iconologia di Erwin Panofsky e Fritz Saxl, tradotto per la prima volta in italiano da Quodlibet. Un'opera di grande raffinatezza anche estetica, che analizza gli studio dedicati dai due negli anni tra il 1926 e il 1964 all'opera düreriana. Già agli inizi del XX secolo lo storico dell'arte Karl Giehlow si era occupato dell'incisione di Dürer, ravvisandovi una correlazione con lo pseudo-aristotelico Problema XXX,I recuperato da Ficino. Il lavoro di Giehlow, proseguito dal critico e storico dell'arte Aby Moritz Warburg, ha a sua volta ispirato Panofsky e Saxl. Nel loro volume troviamo una reinterpretazione iconografica dell'incisione di Dürer molto complessa, relativa sia ai numerosi riferimenti simbolici presenti nell'opera e alla linea evolutiva seguita dall'artista, che li porta a interpretare la melanconia per la prima volta come stato mentale.
Panofky e Saxl sembrano in qualche modo confermare Starobinski, che indagando la malinconia dal punto di vista psicopatologico, come forma di depressione e di opposizione dell'individuo alla realtà, assegna alla manifestazione artistica un ruolo di “rinascenza”. D'altro lato Starobinski, approcciando le varie manifestazioni del dolore patologico con approccio umanistico e medico-scientifico assieme, non può che interessarsi ad altre manifestazioni e degenerazioni quali la depressione e il lutto. Una molteplicità e una trasversalità, di studi e di formazione, che ci porta inevitabilmente alle interpretazioni di Sigmund Freud, in particolare quelle espresse in Lutto e melanconia e nel Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno, in cui melanconia e depressione si legano al lutto per la perdita della libido. Nella prefazione a una nuova edizione dei saggi freudiani sull'argomento, L'elaborazione del lutto (Rizzoli), Alberto Lucchetti evidenzia come, per Freud, melanconia, lutto e perdita si collegano all'ambivalenza e al legame narcisistico con l'oggetto: “il malinconico, imprigionando l'oggetto da cui non si può separare, se ne ritrova angosciosamente prigioniero”.
E se invece la depressione rientrasse in un ambito puramente organico? Le neuroscienze, grazie soprattutto alle tecniche di neuroimaging, ci hanno abituato a misurare il metabolismo cerebrale, a collegare cervello, corpo e mente. Da queste premesse parte Edward Bullmore nel volume La mente in fiamme (Bollati Boringhieri), spingendosi però ben oltre: la neuro-immunologia si occupa di come il sistema immunitario interagisca con il cervello e con il sistema nervoso, mentre l'immuno-psichiatria si concentra sull'interazione tra sistema immunitario, mente e la salute mentale. L'autore propone di superare il “dualismo cartesiano” e definisce senza incertezze la depressione come risposta immunitaria ad un'infiammazione. “Un vero nesso causale” rispetto al quale, a quanti “chiedono come e perché”, l'autore risponde con una domanda: “Quali sono ormai i motivi rimasti per continuare ad essere scettici riguardo i collegamenti tra infiammazione e depressione? (...) siamo certi che i nostri ragionevoli dubbi non siano in realtà una difesa inconscia del nostro punto cieco cartesiano?”.
In effetti già Freud aveva ipotizzato una correlazione tra sintomi psicologici e trattamento fisico con la teoria naso-genitale. Bullmore attraverso una dettagliata analisi storica che passa per Golgi e Ramón y Cajal, per il lancio entusiastico del Prozac nel 1987, cui seguì un veloce declino, vuole mostrarci che la sua ipotesi non è così remota, se si accetta che la barriera ematoencefalica permette il passaggio di citochine che andrebbero a determinare la risposta infiammatoria. Il processo può essere osservato grazie alla risonanza magnetica funzionale ma non fornisce ancora prove schiaccianti.