Recensioni / Agamben esalta il dialetto «Tanti poeti da riscoprire»

Fra i grandi autori presenti a Mantova figura anche Giorgio Agamben, uno dei pensatori più influenti della nostra epoca. Il suo pensiero, studiato e riconosciuto in tutto il mondo, è al centro di dibattiti e approfondimenti, compreso il monumentale ultimo studio (oltre 700 pagine) presente nella tenda libri di piazza Sordello. Al conservatorio Campiani, però, Agamben è in veste di direttore di una collana per la casa editrice Quodlibet che pubblica testi di poesia in dialetto. La lingua, la generatività del linguaggio e i problemi metafisici ad essi connessi sono da sempre il secondo grande filone di riflessione di Agamben, fin dalla sua scoperta svalorizzazione dei saggi dedicati alla lingua scritti da Walter Benjamin.
«La collana - spiega Agamben - propone una serie di poeti dialettali che, nel nostro Paese, vanno considerati e riscoperti accanto ai grandi poeti in lingua italiana». La tesi è forte ed enunciata, da grande didatta quale è Agamben, più volte: il bilinguismo - volgare (dialetto) e grammatica (lingua italiana) - è proprio della lingua ed è espresso, in modo esemplare, dalla poesia. «Esistono due tradizioni, come già Dante aveva ben chiaro nei suoi scritti, quella della lingua madre, e cioè il volgare, che si apprende liberi da schemi, e la lingua costruita, che si impara in anni di studi».
La riscoperta della poesia dialettale, e l'obiettivo della collana Ardilut («parola di Pasolini, che vuol dire valeriana selvatica» spiega Agamben), è quello di far emergere «il bilinguismo e la potenza che questa lingua volgare ha nel generare e dare vita alla lingua grammaticale» .

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