«Fin dalla sua riscoperta, a
metà del XV secolo, la Germania
ha sempre avuto un ascendente
sui protagonisti dell'attualità
politica». In occasione dell'uscita
del suo ultimo libro - Tacito, Germania,
Quodlibet, pp. 512, euro 19, il
filologo Giuseppe Dino Baldi sarà
ospite al Festivaletteratura di
Mantova con due appuntamenti.
Oggi, alle 22, intratterrà il pubblico
sull'arte della retorica presso
la Tenda Sordello mentre domani,
alle 12.15, sarà al Conservatorio
di Musica Lucio Compiani -
Auditorium per un incontro incentrato
sulla Germania di Tacito
e la cultura europea.
Della Germania esistono innumerevoli
edizioni, antiche e
recenti. Quali sono i motivi che
l'hanno spinta a tradurre di
nuovo un classico così «inflazionato»?
Ho voluto riprendere in mano
la Germania non solo perché occupa
un posto di rilievo nella letteratura
latina ma anche perché
è un libro fondato su un popolo
che ha avuto un ruolo preminente
nella storia di Roma e
dell'Europa. Ho ritenuto poi importante
accompagnare un testo
linguisticamente complesso
con un commento puntuale
e aggiungere un'antologia di
scritti sui popoli del Nord redatti
da autori precedenti a Tacito,
in modo da proporre un quadro
esaustivo sull'argomento.
In che senso la Germania rappresenta
la cultura europea?
Durante la Riforma protestante,
gli umanisti tedeschi utilizzarono
l'opera di Tacito alla
stregua di un'epopea identitaria.
Al contrario di altri popoli
soggetti a Roma e privati di una
storia che non fosse illustrata
dal punto di vista del dominatore,
i tedeschi si riconobbero in
una narrazione che - apparentemente
lontana dall'essere «partigiana»
- attestava la primordiale
propensione al bene dei Germani,
in contrasto col sistema
corrotto e vessatorio della Roma
papale. Anche i rivoluzionari
francesi lessero la Germania
con attenzione, cercandovi un
modello di autogoverno proto-democratico
che si opponesse
all'assolutismo monarchico.
Com'è strutturata questa monografia?
Assieme alla più tarda Indild di
Arriano, la Germania è l'unico
esempio di monografia etnografica
arrivata a noi dall'antichità.
Spesso, in Grecia e a Roma,
questo tipo di contenuti prendevano
la forma di digressioni
all'interno di resoconti storici,
come avviene ad esempio nel VI
libro del De bello Gallico di Cesare,
dove si trova la prima descrizione
degli usi e costumi dei
Germani messi a confronto con
quelli dei Galli. I quarantasei capitoli
in cui la Germania è divisa
delineano dapprima i caratteri
della terra e razza germanica, le
istituzioni, gli usi e i costumi
dei suoi abitanti, per poi dispiegarsi
nella descrizione delle diverse
tribù germaniche collocate
oltre il Reno e il Danubio.
Quali erano gli obiettivi reali di
Tacito nello scrivere quest'opera?
Mentre in Grecia, si pensi a Erodoto,
si ravvisa con frequenza
una sincera curiosità per i popoli
diversi dal proprio, in ambito
latino tutto è finalizzato alla costruzione
di un discorso sul potere:
il fulcro del discorso è sempre
Roma. In Tacito, che era anche
un uomo politico, questo costante
orientamento a riflettere
sul destino del popolo romano
è particolarmente evidente.
Nel 98 d.C., quando verosimilmente
la Germania viene scritta,
Traiano diventa imperatore
mentre si trova sul Reno come
governatore della Germania superiore.
Forzando un po' la mano,
potremmo allora dire che la
Germania è una specie di instant
book, nel senso che questo testo
poteva rispondere all'interesse
dei Romani nei confronti di un
popolo al centro dell'attualità
politica del tempo, che, va ricordato,
quasi un secolo prima a
Teutoburgo aveva inflitto una
memorabile sconfitta alle truppe
imperiali. Su un piano più sostanziale,
nella Germania emergono
molteplici dimensioni
narrative: oltre a quella puramente
etnografica, che determina
la struttura dell'opera, è fondamentale
quella etico-morale:
Tacito rimarca spesso le virtù
barbariche dei Germani (semplicità
di vita, morigeratezza,
continenza e così via) per far risaltare,
per contrasto, la decadenza
dei costumi romani.
Tacito sentenzia che la libertà
dei Germani è un nemico più temibile
dei Parti. Ma se attribuisce
loro grandi qualità, li considera
davvero dei «barbari»?
Assolutamente sì. Per i Romani,
i Germani sono i barbari per eccellenza,
contraddistinti da un
vigore sovrabbondante che li
rende indomabili, incapaci di
governare e di servire. Ma nello
stesso tempo, l'idea di barbarie
- che si precisa in Grecia durante
le guerre persiane - nella cultura
classica può assumere, in
determinate circostanze, anche
un valore positivo. Ad emergere,
nella Germania, è la «purezza»
di un popolo che, diversamente
ai Romani di età imperiale,
non è stato ancora corrotto
dalla ricchezza che aveva
stravolto l'antica morigeratezza
italica: sono molti i riferimenti,
disseminati nel testo,
che servono a evocare nel lettore
un parallelo tra i Germani e i
Romani della più antica età repubblicana.
Nel Novecento, la purezza razziale
dei Germani affermata da
Tacito nel capitolo IV della
«Germania» è stata oggetto di
fraintendimenti ideologici dagli
esiti drammatici, tanto che
Momigliano definì quest'opera
uno dei cento libri più pericolosi
mai scritti...
La natura dei popoli germanici,
non scalfita da contaminazioni
esterne - assieme allo stereotipo
del tedesco alto, biondo e bellicosissimo
- si salda con i principi
del razzismo scientifico, finché
in epoca nazista la Germania
diventa una sorta di manuale a
cui rifarsi per determinare i caratteri
originari della razza e
dell'indole tedesca: i tedeschi,
sulla scorta di Tacito, ambiscono
ad emulare i propri predecessori
e a mantenere quella purezza
di sangue con la quale sono
entrati nella storia. Non a caso,Hitler cercò in tutti i modi di ottenere
da Mussolini il più antico
manoscritto della Germania,
che si trovava in Italia, e Himmler,
che era uno dei più fanatici
ammiratori di questo testo, dopo
la caduta del fascismo, inviò
un distaccamento di SS nel luogo
in cui pensava si trovasse
per trafugarlo (tuttavia senza
successo).
Quale messaggio si sente di
trasmettere domani al pubblico
che la ascolterà a Mantova
e ai futuri lettori della Germania
edita da Quodlibet?
Abitualmente, chi legge la Germania
tende a identificarsi con
una delle due parti in causa: i tedeschi
si sentono gli eredi dei
Germani, noi italiani ci immedesimiamo
nei Romani. Questo
però è un errore: noi siamo, storicamente
e culturalmente, sia
Romani che Germani. La Germania
può insegnarci che le cose sono
più complesse di come si tendono
a rappresentare di solito,
e che riuscire a guardarci dall'esterno
è un buon esercizio per
scoprire le nostre zone d'ombra.
In fondo, è lo stesso metodo
che usa Tacito nella Germania,
spingendo i suoi lettori a indagare
la propria coscienza attraverso
il filtro della barbarie.
Questa forma di «straniamento»
porta, per così dire, a galla la
complessità che ognuno di noi
ha dentro.
In conclusione, i «barbari» siamo
anche noi...
Non è una novità. Gli stessi Romani,
del resto, furono a lungo
ritenuti barbari dai Greci. Questa
coesistenza tra barbarie e civiltà,
congiuntamente alla presenza
di identità multiple, è l'eredità
più evidente e preziosa
dei popoli europei. E ha radici
antiche se lo stesso impero romano
era un organismo apertissimo
a incroci di culture e, anzi,
proprio da esse traeva forza. La
capacità di tenere insieme le diversità
e di saper riconoscere in
noi stessi la barbarie, è dunque
la miglior lezione che ancora oggi
può offrirci un'opera come la
Germania.