«Germania, terra informe, dal clima
pessimo, squallida
a viverci e senza nulla di bello,
se non per chi ci è nato». Così
Publio Cornelio Tacito nel 98
d.C. descrive le immense e selvagge terre abitate da tribù germaniche sempre in guerra tra
loro. Da un paio di secoli Romani e barbari del Nord si danno battaglia. Se in un primo
momento i Romani hanno
avuto la meglio, dopo la disfatta delle tre legioni di Publio
Quintilio Varo nella Foresta di
Teutoburgo nel 9 d.C. a opera
del traditore Arminio, nella capitale dell'impero e tra le legioni si sviluppa un vero e proprio terrore per quei barbari
dai corpi giganteschi, dall'incredibile coraggio e dall'abilità nell'uso delle armi (così li
descrive Cesare nel De bello
gallico).
La Germania (in latino De
origine et situ Germanorum) è
considerata tra le opere minori di Tacito, ma in realtà si tratta di uno dei testi più profetici
e gravidi di conseguenze che
ci provengano dall'antichità.
La nuova edizione uscita per i
tipi di Quodlibet (pagg. 502,
euro 19) a cura di Dino Baldi
(ricordiamo anche la celebre
traduzione di Filippo Tommaso Marinetti del 1928) si avvale di un corposo apparato critico e documentario.
Il fatto che Tacito
non sia mai stato in
quelle terre non deve stupire: se la Germania si presenta
come un trattato etnografico, in realtà
è uno scritto politico che ha come
obiettivo quello di
mettere in guardia i
Romani da due pericoli: il nemico germanico e la crisi
morale. Tessendo
l'elogio delle virtù
dei barbari del
Nord (vita semplice, spirito
guerriero, amore per la libertà), che sembrano somigliare
a quelle dei romani dei primordi, l'autore delle Historiae
e degli Annales mette i suoi
concittadini davanti alla decadenza dei loro costumi e alla
perdita della libertà coincisa
con l'avvento del principato.
Le qualità che fecero grande
Roma (riassunte dal binomio
virtus e libertas) sembrano ora
appartenere ai Germani (il cui
termine significa "genuini"),
ma a dire il vero si tratta di
una visione idealizzata. Tacito
ne è talmente consapevole da
ammettere che se i Germani
non si possono sconfiggere
con le armi si possono battere
mettendoli gli uni contro gli
altri e approfittando dei loro
vizi: pigrizia, litigiosità, impulsività, spirito anarchico.
Ma l'aspetto più sorprendente dell'opera, come rileva Baldi, è che essa ha contribuito a
far nascere l'idea di nazione
germanica, sia nella percezione dei Romani che in quella
degli stessi barbari. I Germani
come popolo dunque non sono che una invenzione romana. Già con Cesare «l'invenzione della Germania viene messa al servizio della propaganda sia interna che esterna» allo scopo di creare un nemico
da abbattere. Eppure Catti,
Cherusci, Cimbri, Marcomanni, Longobardi, Gotoni non si
sentono parte di un unico popolo, non sembrano avere coscienza di una comune origine, e anzi molti di loro combattono come mercenari al fianco di Roma contro altre tribù
germaniche.
In questo contesto, la disfatta di Teutoburgo rappresenta
uno spartiacque. Come scrisse il poeta tedesco Heinrich
Heine, con la vittoria sulle legioni romane i Germani si guadagnano il diritto di continuare a esistere. E da quel disastro militare, osserva Baldi,
prenderanno corpo «l'immagine di una Germania barbarica
e distruttrice, irriducibile alla
civiltà, e una forma persistente di terrore e di soggezione
psicologica nei confronti del
barbari del Nord la cui eco è
arrivata fino a noi». Solo qualche anno dopo i Romani riusciranno a lavare l'onta con le
campagne militari di Germanico (il vendicatore di Teutoburgo), senza tuttavia riuscire
mai a imporsi definitivamente.
Nelle parole di Tacito si coglie un misto di ammirazione
e di riprovazione per quelle
popolazioni; già allora prende
corpo quel sentimento ambiguo fatto di attrazione e repulsione tra popoli latini e popoli
del Nord che ancora oggi si
può cogliere. I Germani di Tacito hanno tratti primitivi: non
usano monete ma ricorrono al
baratto. Vanno in giro nudi,
protetti solo da un mantello.
Quando combattono le donne
si posizionano alle spalle degli
uomini in modo che questi
sentano le loro urla e il pianto
dei bambini e combattano
con più veemenza. Le loro ricchezze provengono da guerre
e saccheggi. Non amano lavorare la terra: perché ottenere
col sudore ciò che si può avere
col sangue? In tempo di pace
non fanno che dormire, mangiare e ubriacarsi. Sono le donne a prendersi cura della famiglia, della casa e dei campi. Vivono in case isolate o poste a
distanza l'una dall'altra, amanti come sono del proprio spazio vitale. Gli ospiti, anche forestieri, sono sacri. Sono un
popolo ingenuo e senza malizia, sempre in cerca di pretesti
per fare la guerra. Ecco come
ci vengono presentati.
Eppure la Germania di Tacito, avverte Baldi, «non descrive gli antenati dei tedeschi»
quanto piuttosto un modello
ideale utilizzato a fini propagandistici. Dopo molti secoli,
tra alterne fortune, quest'opera controversa diviene la bibbia degli umanisti protestanti
nella loro battaglia contro al
chiesa di Roma.
Un nuovo innamoramento
si registra nel periodo romantico, durante il quale «la genuina vitalità degli antichi Germani» diventa la premessa «a
ogni rivendicazione di tipo nazional-patriottico». A partire
da Tacito viene «elaborata la
teoria della giovinezza e della
vecchiaia dei popoli» in base
alla quale i popoli del Nord,
eternamente giovani, sarebbero predestinati a rinnovare il
mondo. E poi di nuovo, con lo scoppio della Prima guerra
mondiale, il trattato di Tacito
torna «a essere per le nazioni
di lingua germanica un principio attivo politicamente e socialmente» e «i tedeschi mai
come allora vollero assomigliare ai loro progenitori».
Con l'avvento di Hitler infine
la Germania diventa «il testo
sacro per la fondazione del
nuovo Reich come stato militare e razziale» fino a essere definita da Arnaldo Momigliano
uno dei cento libri più pericolosi al mondo. «I germani non
si sono guastati unendosi ad
altri popoli, ma sono rimasti
una razza a parte, pura e simile solo a se stessa» si legge
all'inizio dell'opera. Non stupisce dunque se «la macchina
ideologico-propagandistica
nazista prese dalla Germania
di Tacito gli argomenti e il vocabolario per definire il carattere originale e unitario del popolo tedesco in opposizione al
caos mediterraneo» e se per
Heinrich Himmler (tra gli uomini più vicini al Fiihrer),
fraintendendola, divenne un
suo fanatico lettore.