L'esplicita volontà di riprendere in mano il testimone della
storia ha condotto Luciano Curreti a un'intensa e appassionata riflessione sulla Comune di Parigi e
sulla sua attualità come possibile
modello per l'Europa (La Comune
di Parigi e l'Europa della comunità?
Briciole di immagini e di idee per un ritorno della Commune de Paris 1871,
Quodlibet, pp. 137, euro 12).
Come suggerisce il sottotitolo
non è un'operazione nostalgica,
né un esercizio accademico di
comparazione fra il tempo buio
degli ideali che domina il presente e quello carico di sogni del passato, eroico malgrado l'epilogo
sfortunato. Forse qualche rimpianto ma nessun rimorso per il
tempo passato che va solo studiato e compreso; non si torna alla
Comune, ma lo spirito di quell'esperienza, la pratica di condivisione e fraternità che ha animato
il tempo breve della primavera
parigina de11871 può essere utile per costruire una nuova, radicale comunità dell'Europa.
Già per Marx la Comune si rivelava come l'antitesi migliore
dell'Impero, assumendo la forma positiva della repubblica sociale capace di spezzare il dominio di classe ed emancipare la vile multitude che aveva nutrito la
retorica repressiva anche dei repubblicani conservatori. In questo senso, è da leggersi l'invito di
Curreri a considerare la Comune eterna. Eterna e molteplice.
La Comune rappresenta ancora
la matrice di un'esperienza rivoluzionaria spontanea e senza capi che si pone il problema del potere senza tuttavia individuare
nello Stato la soluzione di quel
bisogno.
Come già l’arcipelago dell'associazionismo politico aveva provato a fare durante la Rivoluzione francese e come in misura diversa proveranno a fare i primi soviet e il sistema dei Consigli prima
dell'involuzione autoritaria. La lotta di uomini e donne che si battevano per la costruzione di una rete di
municipi ognuno con il proprio autogovemo suggeriva la costruzione di una Federazione delle Comuni per far fronte alle anomalie del
centralismo, allo stesso modo in
cui la libertà di un popolo si di-fendeva a partire dalla tutela dei diritti individuali. Un percorso che traslato sul continente europeo significa gli Stati uniti d'Europa, nella
sua accezione migliore, da sempre
rifugio di ogni pensiero universalista e pacifista. Quello stesso municipalismo che proprio dal fallimento dell'esperienza parigina del
1871 entrò nel bagaglio culturale
del movimento socialista europeo,
con i propri spazi politici di condivisione, le università popolari, i teatri come mostra il ricco lavoro di
Patrizia Dogliani (Le socialisme murdcipalen France et en Europe de la Commune à la Grande Guerre, Arbre
Bleu, 2018).
Ha ragione Curreri a dire che questa volontà infrange, per vivificarlo, il retaggio della grande rivoluzione de11789, il momento giacobino che solo la rivoluzione bolscevica avrebbe rinsaldato. La Comune porta a estinzione lo Stato e
per quanto possa apparire ingenuo e condurre alla sconfitta, il popolo insorto de11871 non si impadronì della Banca di Francia (il ricorrente capo d'accusa da sinistra
per spiegare le ragioni del fallimento) perché rifiutava quel modello e quei valori; lo stesso popolo pronto a sollevarsi quando l'esercito provò a requisire i suoi cannoni, acquistati con una raccolta
libera e popolare per avere un
mezzo proprio di difesa contro
ogni despota interno o esterno.
VICTOR NUGO che pure, come molti
altri intellettuali, aveva patito e descritto a tinte fosche la Comune fu
però poi disposto a rintracciare
un modello di virtù nella spontaneità di quella sollevazione, nella
originalità e nella passione del popolo parigino e dei volontari che
accorsero da tutta Europa a difendere le nuove istituzioni comunaliste, anche quando oramai tutto
era perso. Come nella corte dei
miracoli raccolta intorno a Notre-Dame che aveva descritto nel
romanzo, Hugo ammise che gli
insorti davano corpo a un'esistenza alternativa organizzata. Una vita parallela fatta dalla semplicità
di vita associata che sembra costituire la novità più forte dell'Europa tratteggiata nel Novecento da
Denis de Rougemont. L'Europa
non va cercata per lui nelle istituzioni, ma nelle realtà parallele
create dalla vita vissuta dei suoi
cittadini, dalla folla brulicante
dei quartieri, dalle nuove istituzioni municipali e contro cui lo
Stato nazione può vincere solo divenendo totalitario.
Ne La Commune, il film del 2000
di Peter Waticins, girato in complicità con quel cosmopolita
anarchico che è Armand Gatti, il
regista mette in scena una Parigi in
cui il comune è già nell'azione corale, nella parola errante dei suoi attori tutti non professionisti che si
muovono sulla scena come fosse
un fumetto, fino a quando la disciplina di partito da una parte, la
disumanità dei versagliesi dall'altra non imposero il silenzio.