Recensioni / Nel campo di battaglia dello scrivere in versi

«Siamo noi il campo di battaglia delle nostre poesie», scrive Stefano Dal Bianco nel suo ultimo libro, Distratti dal silenzio. Diario di poesia contemporanea (Quodlibet), che già nel titolo configura la poesia come spazio della contraddizione, se non del conflitto. Un conflitto interno alla sua stessa natura che, scrive ancora Dal Bianco, riguarda il nostro presente, ma al contempo non è poesia se questo presente si traduce in ostentazione dell'impegno o immersione neorealista («il realismo poetico è borghese»). L'elemento diaristico (ovvero l'ordine cronologico degli interventi, dall'86 al 2017) dà conto di un "movimento" che riguarda non tanto la o le poetiche prese in esame nel libro dagli anni Settanta a oggi quanto la perdita di centralità della poesia dal discorso letterario degli ultimi decenni: si sono ridotte le battaglie, i conflitti di area e sono, forse, aumentati i poeti. Il festival di Pordenonelegge, qualche anno fa, si era incaricato di censire per il proprio sito gli under 40, i cosiddetti "giovani", che raggiungevano la di Gilda Policastro ragguardevole cifra di 270. Per la nostra rubrica riceviamo molti testi (siamo praticamente al migliaio), la fascia di età non è delimitata, abbiamo pubblicato poesie di nati negli anni '40 come nell'80. Ma qual è il criterio della selezione? Naturalmente la qualità, cioè, riprendendo altri spunti del libro di Dal Bianco (fra i pochissimi libri recenti di riflessioni di un poeta sulla poesia, l'attenzione al ritmo (e alla sintassi), innanzitutto, perché il ritmo è l'anima dei versi, poi il lessico, ma soprattutto quella che Dal Bianco definisce "la scena", ossia la capacità del poeta di creare situazioni attraverso le cose (cioè le parole). Poeta è chi mette in versi la propria esperienza, chi ne fa argomento di una condivisione non necessariamente filosofica né tantomeno estemporanea («né dandy, né-sociologo»), piuttosto (e sorprendentemente) «empatica». La poesia può "arrivare" con espedienti semplici e parole comuni, un passo indietro rispetto all'alloro e uno in avanti rispetto agli smartphone (e viceversa). Qualcuno si domanda se esista un modo per decidere quando e come si debba scrivere in versi, oltre che di cosa scrivere. A mo' di risposta (parziale, in fieri) pubblichiamo un estratto da un inedito di Dario Voltolini, autore fin qua più noto per la sua prosa (romanzi e teatro); una poesia scritta da un'autrice, Mariasole Ariot, che si è segnalata per una particolare attitudine alla scrittura con immagini (iconotesto). E poi l'estratto di Andrea De Alberti, che dopo aver tradotto in versi il tema antropologico e psichico dell'evoluzione, si cimenta con un nuovo poemetto dedicato al denaro; infine Silvia Tripodi che contamina come pochi della stessa generazione sperimentazione e lirica. I loro nomi vi sono forse già noti perché li avete trovati in libreria, in rete o perché li abbiamo citati qui: ma non importa tanto chi siano i poeti (rimandiamo a Dal Bianco anche per le riflessioni sul narcisismo contemporaneo), è assai più rilevante che pur nella distanza anagrafica e di sguardo nascano esigenze comuni e nuove forme, nuovi ritmi e dunque nuova poesia.