Recensioni / Pessoa, il giallo dell'inquietudine

Il puzzle delle carte inedite di Fernando Pessoa continua a sorprenderci. Le edizioni Il filo hanno pubblicato una versione del poliziesco Il caso Vargas (traduzione e cura di Simone Celani, pagg. 142, euro 14) molto più ampia e significativa di quella presente nella raccolta di Racconti dello scrittore portoghese stampata l’anno scorso da Passigli. Questo «giallo» - con la sua trama efficace pur tra gli straripamenti logici e criminologici, pur tra i disagi da manoscritto incompiuto - conferma che Pessoa non è solo il poeta «molteplice» che con nitida ambiguità rimescolò i modi della poesia dei primi decenni del ’900, e che intrecciò neoclassicismo pagano, ultimatum delle avanguardie ed esoterismo, dando prodigiosamente voce ad autori «eteronimi» di cui inventò le biografie e scrisse le opere. Pessoa non è solo il diarista apocrifo e apparentemente divagante del Libro dell’inquietudine, in cui il suo doppio Bernardo Soares osserva: «Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso». Pessoa, sempre fedele al progetto di essere «molti», è anche l’appassionato di trame del mistero che medita di inviare racconti al britannico «The Strand Magazine» dov’era passato Sherlock Holmes. E nella fiction poliziesca sa scorgere - ben prima di Umberto Eco - procedimenti rilevanti per ogni tentativo di definizione della realtà e della verità. Protagonista de Il caso Vargas è Abílio Quaresma, «medico senza clinica e decifratore di sciarade», titolare di varie storie criminali delle quali si sono trovati tasselli nel baule dentro il quale Pessoa - morto a Lisbona nel 1935, a 48 anni, avendo pubblicato pochissimo in vita - custodiva gli inediti responsabili della sua fama postuma. Quaresma potrà sembrare troppo asceticamente raziocinante a un lettore di polizieschi standard, ma è personaggio all’altezza delle altre straordinarie personalità ipotetiche create da Pessoa. Normalmente Quaresma mostra un’individualità «sbiadita e smorta», da «fiacca appendice dell’umanità», ma sprigiona «una nuova miracolosa energia» quando risolve un problema. Presentandosi al giudice che coordina l’indagine sulla morte di Carlos Vargas - un suicidio in cui qualcosa non quadra - Quaresma annuncia: «Voglio fornirle la soluzione... È un mio dovere - dovere, aggiungerei, più intellettuale che civile». E rincara: «Sono certo, o quasi certo, che questa indagine non è riuscita a desumere l’unica conclusione possibile per un raziocinante». Quaresma approfitta dell’attenzione concessagli per esporre diffusamente, oltre che la soluzione del caso, le proprie teorie: «Una volta che il raziocinio ha elaborato i dati (delle sensazioni), pesando il valore delle testimonianze di ognuno, confrontandole l’una con l’altra e, quando possibile, desumendo nuovi dati dai vecchi, giungiamo in possesso di ciò che chiamiamo ”fatti”». Il lettore qui può percepire la tensione tra universo molteplice delle sensazioni e convenzioni univoche della realtà e della personalità, che è un motivo centrale in tutto Pessoa. Da un punto di vista giudiziario il caso Vargas verrà risolto, ma la confessione dell’assassino lascerà parecchi dubbi sulla consistenza del mondo in cui viviamo. Mano a mano che le carte di Pessoa vengono esaminate e riassemblate - si cominciò nel 1942 e non s’è mai finito che provvisoriamente - risulta più chiaro che il grande portoghese non fu solo un sublime giocoliere letterario, ma un pensatore capace di mettere in questione con originalità assetti e tradizione della filosofia occidentale. Per chi volesse verificarlo è apparso in italiano, pochi mesi fa, Il ritorno degli dei (Quodlibet, pagg. 344, euro 24), che propone - ancora attingendo al famoso baule - l’opera omnia di Antonio Mora, il più dichiaratamente filosofo tra gli eteronimi di Pessoa.