Recensioni / La città in trenta voci

Il boom ormai sistemico e longseller del design non passa solo per il Salone e il fuorisalone del mobile o per il proliferare di università pubbliche e private (ad esempio da poco la milanese NABA ha aperto in controtendenza una sede apposita sulla via Ostiense a Roma). Pullulano pure le biennali, oscurando completamente le parallele kermesse dell’antiquariato, completamente fagocitato. Ecco Istanbul, Londra, Lisbona, St. Etienne, Eindhoven. Cresce pure la letteratura e lo storytelling (come il Manuale di storia del design, Silvana editoriale, appena uscito, che ripercorre mostri sacri e radical, da Gio Ponti fino a Andrea Branzi, da Alberto Rosselli a Ettore Sottsass). Per capirci qualcosa, o anzi per perdersi, arriva adesso una guida super: Argomenti per un dizionario di design, a cura di Carlo Vinti (Quodlibet), dedicato a Ugo La Pietra, summa del suo pensiero eclettico tra musica, arte, artigianato, cinema e urbanistica (non a caso da giovane si occupava di sinestesia). Già architetto “radical”, gran frequentatore del bar Giamaica, compasso d’oro alla carriera nel 2016, se a qualcuno venisse la tentazione di cominciare la lettura del suo dizionario proprio dalla voce Design, si renderà conto che però l’autore, più che risolvere i problemi, li vuole ampliare. Invece che un tentativo di definizione, ecco infatti un elenco di quelle sotto-categorie con cui da anni si prova a mappare una nebulosa sempre più informe e sfocata, seguito da un’affermazione drastica: “Il design non esiste come disciplina”.
Le trenta voci che vanno da “Arredo domestico” a “Tecnologia”, passando per “Artigianato”, “Città”, “Industria” e “Moda”, sono divise in sottocategorie che sistematizzano scritti d’occasione, che vanno dal 1972 al 2018, attraversando dunque varie epoche. Da quella dell’architettura radicale, quando La Pietra dirigeva le riviste milanesi “In” e “In più” che pubblicavano massivamente le ricerche dei vari fiorentini (Archizoom, Superstudio, 9999, Ziggurat, Gianni Pettena e Remo Buti) con un occhio a quelli austriaci (Hans Hollein, Haus Rucker, Coop Himmelblau), che lo portano ad avere un ruolo centrale nei Global Tools, alle ricerche sulle periferie della fine degli anni Settanta in cui si aggira curioso e un po’ stralunato realizzando dei film brevi che trovano qualche affinità nei primi lavori di Maurizio Nichetti. Quindi negli anni Ottanta a occuparsi di casa telematica (insieme a Gianfranco Bettetini e Aldo Grasso nel 1983) e, affascinato, vede arrivare nuovi dispositivi che la rendono sempre più centrale e foriera sia di utopie sia di distopie: l’anno dopo ad esempio arriverà la satira da B movie del “Ragazzo di campagna” Renato Pozzetto costretto in un abitacolo asfissiante e iper-tecnologico, in fuga da una campagna non ancora “cool” e dal chilometro zero all’epoca odioso.
Alcune delle annotazioni di allora di La Pietra preconizzano pure il capitalismo di sorveglianza nuovissimo odierno delle Siri e Alexa: “Una buona fetta della nostra futura società sfrutterà il tempo libero (in casa!) come tempo di lavoro occulto!” scriveva quarant’anni fa (in seguito passerà poi al recupero dell’artigianato, per decenni vituperato e deriso sia dall’accademia sia dall’industria, salvo poi passare oggi a un frenetico revival tardivo, sull’onda delle stampanti 3D).