L’antologia critica sul romanzo curata da Raffaello
Palumbo Mosca può essere letta
a più livelli, così come l'organizzazione
stessa dei testi nelle quattro
sezioni che compongono il
volume può essere giustificata (o
discussa) in diverse modalità: da
una parte ci troviamo
di fronte a un aggiornamento
critico assolutamente
necessario su un
tema che, per quanto
trattato, è ancora ben
lungi dall'esaurirsi; da
un'altra, attraverso i
testi chiamati a raccolta,
si finisce con il confrontarsi
direttamente
con la recente produzione
romanzesca italiana
(e non solo), oltre
che con le più stimolanti speculazioni
teoriche; da un'altra ancora
si offre spazio alla critica dei critici
contenuta nei cappelli introduttivi
di ciascun capitolo, redatti
da studiosi, intellettuali e addetti.
ai lavori più giovani. Una grande
operazione in un momento storico
in cui la critica — lo sappiamo,
ma non bisogna mai smettere di
ricordarlo — si trova costretta a
muoversi ai margini, annichilita
e deprezzata da più parti, quando
non dichiarata semplicemente
morta.
Le tante suggestioni offerte dai
saggi antologizzati trovano una
prima sistemazione nella fondamentale
Introduzione, dove il
curatore attraversa alcune problematiche
legate alla forma romanzo
in una prospettiva teorica
e storica che, passando attraverso
diversi classici e guardando fino ai
giorni nostri, macchiati da mercificazione
selvaggia e da un'editoria
sempre più "senza editori", si
concentra ampiamente sul caso
che ci interessa da vicino, quello
italiano, tradizionalmente letto
alla luce di un'irrecuperabile
debolezza rispetto ad altre storie
letterarie ma ampiamente disponibile
a instaurare un dialogo serrato
con queste storie, se è vero,
come viene notato sulla spinta
di Alberto Asor Rosa e Giovanni
Getto, che tra Ottocento e primo
Novecento il romanzo italiano
cresce soprattutto guardando
all'estero, con Manzoni che fa di
Walter Scott il suo modello e che
si forma a contatto con i francesi,
con Verga debitore di Zola, con
D'Annunzio che rubacchia tra la
Francia e 1a Russia e infine con
Svevo, non-italiano di formazione
(per non dire poi, si aggiunge
qui, della picaresca spagnola, che
dopo aver pesantemente influenzato
tutta la storia del romanzo
fa sentire la sua eco anche nel nostro
Ottocento, con il Nievo delle Confessioni d'un italiano — specie nei capitoli dedicati alla giovinezza di Carlino — e con Le avventure di Pinocchio di Collodi; oppure delle notturne fantasticherie romantiche ben recepite dai nostri migliori scapigliati).
Ma al di là dell'inquadramento
storico (che arrivando al presente
individua alcuni importanti
percorsi degli autori contemporanei,
soprattutto in merito alle
possibilità offerte dall'ibridazione
dei generi, col romanzo che
ingloba il saggio, il reportage o
la memorialistica) è il tentativo
di comprendere cosa sia nella sua
intimità la forma romanzo ad accendere
il discorso; e ragionare su
questa forma significa mettere a
fuoco la sua condizione di genere
"della ricerca morale'', quello elle
pone domande sul mondo e tenta
di modificarlo, non proponendo
risposte ma insistendo
sui dubbi irrisolti
e sui fallimenti. Non
a caso viene evocato
Juan Cercas con la sua proposta di romanzo
come genere che rifugge
da ogni pretesa pedagogica
assoluta ("La
letteratura, e in particolare
il romanzo, non
deve proporre nulla,
non deve trasmettere
certezze ne fornire risposte
né prescrivere soluzioni;
al contrario: ciò che deve fare è
formulare domande, trasmettere
dubbi e presentare problemi", così
dice lo spagnolo, in Il punto cieco,
Guanda, 2016). E ogni discorso
sul ronlanzo, quindi, nelle parole
di Palumbo Mosca porta a "ragionare
anche di altro: di politica, di
come una società rappresenta sé
stessa e nel lo stesso tempo cambia
sotto l'influsso delle rappresentazioni
che produce. Significa, in
definitiva, ragionare sulle modalità
stesse del nostro esistere lei
mondo".
I testi riuniti sollevano diverse
questioni entrando in risonanza
l'uno con l'altro. Vastissimo è il
panorama offerto al lettore, con
particolare interesse destato dalle
"zone di confine", quella della
quarta sezione, ad esempio, dove si discute - attraverso Matteo
Marchesini, Alfonso Berardinelli,
Massimo Onofri e Giorgio Ficara
- del problematico rapporto
tra saggistica e narrativa; o quella
che interessa intellettuali come il
Raffaele Manica di Exit Novecento,
che guarda al secolo passato
senza nostalgia e con i piedi ben
piantati nel flusso presente; oppure
quella dei capitoli dove sono
presentati critici che prima di tutto
sono scrittori: Franco Cordelli,
Antonio Scurati, Walter Siti e Wu
Ming, personalità che meritano
molta attenzione (a prescindere
dalla preferenza accordata all'uno
piuttosto che all'altro) proprio
per quel loro sostare lungo il limite
invisibile che separa il teorico
dal romanziere, per avere messo
in piedi un discorso sul romanzo
sia in testi narrativi sia attraverso
la saggistica, praticamente impossibilitati
a restare "lontano dal romanzo",
per prendere in prestito
un titolo di Cordelli