Il racconto L'isola è una delle
opere più intense di Giani
Stuparich (1891-1961). Ne
esce ora una nuova edizione
presso la casa maceratese
Quodlibet (pagg. 110, euro
14), a cura
di Giuseppe
Sandrini, che firma un bel
saggio, insieme documentato
e partecipe, a mo' di postfazione. Nel
volume,
L'isola è seguito da un altro
racconto, anch'esso tra i più
belli dello scrittore triestino,
Il ritorno del padre.
L'isola (1941) narra l'«avvenimento
più importante nella
vita di un uomo», secondo la
definizione di Freud della
quale aveva già fatto tesoro lo
Svevo della Coscienza di Zeno,
che così aveva etichettato
il capitolo dal titolo La morte
di mio padre. Nel racconto di
Stuparich, un trentenne nel
pieno della vita abbandona la
sua villeggiatura alpina per
accompagnare il padre, un
vecchio uomo di mare, a Lussino,
l'isola istriana (oggi in
Croazia) che la famiglia ha lasciato
per trasferirsi nella
Trieste italo-slavo-tedesca,
porto dell'Impero asburgico e
incrocio di popoli.
Il viaggio si configura da subito
come l'«ultimo viaggio»
di un uomo malato e prossimo
alla morte: solo il figlio conosce
la prognosi infausta del
male del padre (un tumore
all'esofago), ma quest'ultimo
sembra intuirla. E il racconto
è proprio incentrato, scrive
Sandrini, sul «dilemma morale
di chi conosce perfettamente
la gravità di un male, ma deve
cercare di dissimularla agli
occhi del malato». L'azzurro
dell'Adriatico («un azzurro
denso di masse cristalline in
fondo all'azzurro liquido»),
l'ambiente marino, un borgo
sperduto in fondo a un golfo
fanno da sfondo a un significativo
mutamento nei rapporti
genitore-figlio: è come se la situazione
che essi stanno vivendo
riproponesse, a parti
invertite, l'abbandono confidente
che il bambino cercava
nel genitore, quando, come si
legge nel più breve racconto
Il ritorno del padre (del
1935), la figura di quell'uomo
ruvido ed energico era entrata
per la prima volta nella
sua vita. Quest'ultimo testo è
molto interessante anche per
la costruzione narrativa, che
vede l'alternarsi dei punti di
vista dei due personaggi, padre
e figlio, i quali si relazionano
l'uno all'altro con un certo
imbarazzo, dovuto alla mancanza
di confidenza reciproca.
Sandrini ha individuato la
genesi - l'origine autobiografica
- del racconto L'isola in alcuni
appunti vergati da Stuparich
in un'agendina tascabile,
conservata nella Biblioteca civica
di piazza Hortis a Trieste,
che reca l'intestazione «Lussin
agosto 1929»: «Non dimenticherai
mai: / il brancino
pescato la sera / il giorno
dopo il granello d'uva/ il giorno
dopo ancora, domenica al
bagno a Cigale, quella strada
da Velopin, nella pineta col sole
- i tuoi sentimenti (dirgli:
papà stai per morire) il suo
eroismo e la sua malinconia».
A queste parole, che ricordano
proprio le atmosfere del
racconto, si accompagna un
disegno a matita, ripetuto più
volte, di un uomo sofferente,
con gli occhi semichiusi e il capo
posato sul cuscino. Il racconto,
in realtà, verrà scritto
soltanto dodici anni più tardi,
nell'estate del 1941, e pubblicato
l'anno dopo da Einaudi.
Si continua a rimanere incantati,
leggendo L'isola, da
una narrazione venata di lirismo
e di rimandi letterari (da
Dante a Montale) che impreziosiscono
il dettato pur senza
appesantirlo, essendo abilmente
fusi dall'autore nella
sua prosa, «limpida e piana»,
come la definisce Sandrini.