Giorni fa, ascoltando su Radio
3 l'intervento di Giuseppe
Dino Baldi al programma
Fahrenheit, mi è sembrato
di cogliere lo stupore
dell'intervistatore. Il giovane
classicista freelance, intervenuto
al Festivaletteratura di
Mantova, aveva appena pubblicato
per la casa editrice marchigiana
Quodlibet una nuova edizione
della Germania di Tacito, e lo stupore
dell'intervistatore era ben
comprensibile: almeno per gli
odierni meccanismi editoriali,
questa operazione ha dell'incredibile.
Una collana — pardon,
"banda di pensiero" — come
Compagnia Extra, nota ai frequentatori
delle librerie Feltrinelli
per autori come Fellini, Perec o
Paolo Noni, che accoglie una pubblicazione
dal taglio pressoché
accademico, per giunta su un autore
latino noto ai più come reminiscenza
scolastica?
IL TESTO
E non è finita: il testo latino e la
traduzione di questo breve scritto
del 98 d.C. non arrivano a un
centinaio di pagine, neanche un
quinto del volume. Il resto lo occupano
l'introduzione, un lungo
commento, e infine una piccola
antologia di testimonianze greche
e latine sui popoli germanici.
Ebbene sì, è un'operazione vincente.
Gli intellettuali refrattari
ai classici antichi se ne facciano
una ragione: la letteratura latina
è cool e Tacito è uno dei suoi
esponenti più interessanti. E poi,
come ora vedremo, la storia
dell'unico manoscritto superstite
della Germania riguarda da vicino
le Marche, territorio su cui
opera la casa editrice del libro.
Ma cos'è la Germania, o meglio
il De origine et situ Germanorum?
È un opuscolo etnografico
scritto dal grande storico Cornelio
Tacito quando il futuro imperatore
Traiano, che nell'ottobre
del 97 d.C. l'imperatore Nerva
aveva adottato e di fatto cooptato,
cercava di risolvere il problema
delle popolazioni germaniche
situate al di là della frontiera
del Reno e del Danubio.
La Germania fu oggetto di venerazione
da parte dei nazionalisti
germanici e poi dei nazisti:
non solo si trattava dell'unica
fonte scritta sugli antichi Germani,
ma testimoniava la purezza
della loro "razza". Tacito approvava
infatti «chi afferma che i
Germani non si sono guastati
unendosi ad altri popoli, ma sono
rimasti una razza a parte, pura
e simile solo a se stessa. Questa
è la ragione per cui si somigliano
tutti, per quanto è possibile
in una popolazione così ampia:
occhi azzurri e penetranti, capelli
fulvi, corpi imponenti e buoni
solo per gli assalti» (Germania,
capitolo 4, tr. Baldi).
Ciò spiega la vicenda alla Indiana
Jones che, durante la seconda
guerra mondiale, si svolse intorno
al testimone superstite della
Germania. Il Codex Aesinas,
"Manoscritto di Jesi", che apparteneva
alla nobile famiglia
dei conti Baldeschi Balleani, fu
oggetto di una caccia spietata da
parte degli emissari di Himmler
che se ne voleva impadronire:
per fortuna non riuscirono nel loro
intento. Dopo la guerra il conte
lo depositò in una cassetta di
sicurezza a Firenze, dove però fu
danneggiato dal fango dell'alluvione
del 1966 che lo rese in parte
illeggibile. Ceduto allo Stato dagli
eredi del conte, oggi è custodito
a Roma presso la Biblioteca nazionale.
LE INFORMAZIONI
La Germania è un'opera dal grande
fascino, ricca di notizie importanti
non solo per la storia dei
Germani ma anche per quella
della cultura latina e del rapporto
dei Romani con i popoli "barbari".
Lasciando al lettore il piacere
di scoprirlo, mi limito a fare
il solo esempio dell'espressione
interpretatio Romana (43, 1).
Per la tribù dei Nahanarvali,
stanziata fra l'Oder e la Vistola,
Tacito menziona il culto di una
coppia divina di giovani che gli
indigeni chiamavano Alcis, ma
che i Romani preferirono tradurre
con i nomi più familiari di Castore
e Polluce. Più avanti (9, 1),
parlando delle principali divinità
dei Germani, lo storico si era limitato
ai soli nomi "romanizzati"
di Mercurio, Ercole e Marte,
corrispondenti ai germanici Wodan
(Odino), Thore Tyr. Insomma,
l'uso di termini più familiari
alla classe dirigente romana agevolava
la mediazione culturale, e
soprattutto permetteva di conoscere
meglio il nemico.