Recensioni / L'epistolario racconta una tormentata passione

Lei: «Perché mi fate rimpiangere quel poco che v'ho dato di me». Lui: «L'idea di accoppiare una voluttà acre e disperata alla bellezza spirituale di una intelligenza superiore come la vostra mi riesce mostruosa, intollerabile». Lei, Amalia Guglielminetti, poetessa di tutto rispetto della belle époque, che scriverà anche alcuni libri di narrativa, per l'epoca audaci. Lui, Guido Gozzano, il poeta considerato a sua insaputa crepuscolare, che ha appena scoperto la lesione al polmone che gli sarà fatale. La costruzione/distruzione di un amore bello, tormentato, infelice, impossibile, «risento sulla mia bocca la crudeltà dei vostri canini». Nel trascinante ping pong di parole infuocate di appassionata contiguità e dolorose di rinunzia e distacco, s'intrecciano confessioni e complicità. Le paure, i bisogni, ciò che a voce spesso non si può dire. L'uno nello specchio dell'altra riflette anche l'invincibile paura di essere soffocato. L'altra che cerca di dar voce all'emozione come risorsa per mettersi in gioco in un'avventura di mente e corpo oltre il possibile, in grado di esaltare o inabissare nel gran vocabolario del "senso amoroso": «Ci parrà d'essere soli nel mondo, o d'essere fuori del mondo». Le lettere, scritte tra il 1907 e il 1912, sono anche, perla storia testuale, un intricato puzzle archivistico e filologico sapientemente ricostruito da Franco Contorba.

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