La generale tendenza a rivalutare
la categoria di modernismo
da parte degli studi italiani si è
collocata finora all’interno della
critica letteraria. Le ricerche di
Luperini, Tortora, Donnarumma,
Somigli, Pellini mostrano come
anche scrittori italiani del calibro
di Pirandello, Svevo, Gadda, Tozzi,
Ungaretti, Montale ragionarono
e affrontarono, lungo un percorso
parallelo, talvolta indipendente talvolta
in dialogo, rispetto alle grandi
figure europee (Proust, Joyce, Kafka)
le questioni estetiche e letterarie
che, oggi, trascorso
il periodo di un uso
altalenante e ambiguo
del concetto, possiamo
nominare con il termine
“modernismo”.
Per la prima volta il
saggio storico di Cangiano
ci consegna un
percorso di narrazione
delle idee moderniste
all’interno del nostro
paese, e di come queste
influenzino tutto il dibattito italiano
dagli inizi del Novecento fino
alle porte del fascismo, attraverso
l’analisi della produzione soprattutto
saggistica e, secondariamente,
letteraria, di nove autori italiani (Pirandello,
Papini, Prezzolini, Soffici,
Palazzeschi, Boine, Jahier, Slataper,
Michelstaedter) che hanno agito
come un gruppo di intellettuali
(spesso in stretto contatto tra loro,
anche se gruppo “discorde di amici”)
che Gramsci avrebbe identificato
come “secondo strato”, poiché
impegnati nel compito di formare
altri intellettuali attivi nelle scuole,
nei giornali e nelle istituzioni italiane
(particolarmente interessante
la rilettura del rapporto tra intellettuali
e Grande guerra, prima e dopo
Caporetto). Tale scelta è stata fatta
certamente per chiarire il legame
fra le tematiche moderniste in questione
e l’operato dell’intellettuale
di estrazione borghese al sorgere,
in Italia, della società di massa, ma
anche per mostrare come abbia operato,
qui da noi, il “fare ideologia” a
quest’altezza storica, precisando le
dinamiche della socializzazione dello
stesso lavoro intellettuale: da qui
la necessità di sacrificare, in parte,
lo studio della produzione artistica,
per ragioni anche strategiche. Il risultato,
cioè, non è solo quello di dimostrare
con perizia l’esistenza nel
dibattito italiano delle idee moderniste,
ma anche quello di riportare,
attraverso l’analisi della produzione
saggistica, questa stessa elaborazione
intellettuale all’interno della categoria,
da intendersi ampiamente,
della letteratura, che nel volume di
Cangiano comprende tanto il romanzo
I vecchi e i giovani
di Pirandello quanto
l’opera filosofica La
persuasione e la rettorica
di Michelstaedter. L’estensione
del corpus di
lavoro, la diversità degli
autori scelti, la profondità
d’analisi dei concetti
e della bibliografia
non rendono possibile
soffermarsi sulle singole
parti del volume.
Che cos’è – per rispondere in breve
– questo modernismo italiano?
Tre eventi, in particolare, che avvengono
contemporaneamente all’inizio
del Novecento provocano la sua
nascita: la fine del primato dell’oggettività,
l’avvento di un soggetto
non più unitario e la crisi linguistica
del nesso tra referente e significato.
Di fronte a tale vero e proprio terremoto
epistemologico, la borghesia e
gli intellettuali reagirono con un’ideologia,
spesso regressiva, nazionalista,
idealisticamente reazionaria,
in grado di contrastare l’avanzare di
una nuova cultura materialista, i cui
protagonisti, contadini e proletari,
iniziarono presto a farsi sentire, durante
la Grande guerra e nel biennio
rosso. Ad esempio, la consistenza
nel modernismo di una prospettiva
ruralista, rinnovata appunto dopo
Caporetto e l’operazione di consenso
portata avanti dallo stato e dagli
intellettuali per la difesa della patria,
si vede anche nel suo travasarsi
all’interno dell’ideologia fascista. Se
inizialmente l’anti-storicismo sembra
l’unica risposta (punto di partenza
del discorso introduttivo su
Pirandello), i capitoli centrali entrano
nel dettaglio delle reazioni tese,
da un lato, ad esaltare il divenire e le
nuove contraddizioni epistemiche
e sociali (da parte dei futuristi, e di
Palazzeschi) e, dall’altro, a riattivare
gli antichi valori in senso politicoreligioso
(Boine e Jahier) o in senso
classico e nazionale (Soffici).
L’importanza degli intellettuali
per l’analisi del modernismo italiano
è dunque da comprendere e
storicizzare in un quadro che per
Cangiano deve essere il più totalizzante
possibile: lo sforzo di Papini,
Prezzolini, Slataper sopra tutti, teso
a portare a termine un’autorigenerazione
degli intellettuali, poggia
sulla convinzione che un’azione
culturale, se condotta da una cultura
“superiore”, possa ancora modificare
il mondo. Per fare questo, gli intellettuali
devono riunirsi in gruppi,
in riviste, essendo ormai definitivamente
tramontata la figura del vate.
Nel capitolo finale Michelstaedter,
che svolge un ruolo da protagonista
e cui spetta il compito di
chiudere il percorso di Cangiano,
emerge come figura filosofica maggiore
del primo Novecento italiano:
l’unico a saper esplicitare una relazione
tra le categorie linguistiche e
le ideologie sociali, comprendendo
(in anticipo rispetto al dibattito
marxista degli anni successivi) che
quello che accade sul piano culturale
sta avvenendo anche su quello
sociale. Fu l’unico in grado di analizzare
come la crisi dell’oggettività
non abbia reso gli uomini più liberi,
ma al contrario li abbia alienati,
conducendoli ad analizzare un problema
storico-sociale su un piano
esclusivamente culturale: le verità
assolute sono invece state sostituite
dalle verità sociali e dalle forme ”rettoriche”.