Recensioni / La città adattiva. Adeguare territori e città al cambiamento in atto

Le immagini di queste ore di Venezia e Matera dileggiate dall’acqua hanno fatto il giro del mondo. Non sono solamente queste due città ad aver subito danni dalle avverse condizioni climatiche, ce ne sono molte altre in Italia e nel resto del mondo. Oltre a un nuovo umanesimo, come da più parti invocato, c’è la necessità di un nuovo rinascimento urbano in grado di adattarsi alla mutazione climatica in atto che già ha modificato il corso degli eventi e delle cose.
C’è bisogno di adeguarsi alle nuove esigenze e modificare tutto ciò che può essere modificato per prevenire e limitare i danni. Ne hanno bisogno le città che abbiamo costruito e che abitiamo perché si dimostrano sempre più fragili e impotenti nei confronti degli eventi atmosferici.
Ci sono numerosi studi che si occupano di questo tema come per esempio La città adattiva. Il grado zero dell’urban design dell’architetto Michele Manigrasso e pubblicato da Quodlibet.
Nella prefazione Flemming Rafn Thomsen, fondatore dello studio THIRD NATURE con Ole Schrøder a Copenaghen nel 2012, scrive: «Era il nostro primo concorso insieme e ci concentrammo direttamente su una trasformazione visionaria e positivista del vecchio quartiere. La nostra idea principale era quella di gestire l’acqua piovana localmente e visibilmente».
Sta parlando di Copenaghen e della tempesta che mise in ginocchio la capitale della Danimarca nel 2011 con la denuncia di oltre 90.000 sinistri e un danno complessivo stimato in 650 milioni di euro. Con il suo studio avevano appena presentato un progetto che sarà definito il «primo quartiere del mondo orientato al cambiamento climatico».
Proseguendo nella sua dissertazione affronta direttamente il tema del cambiamento climatico, «Come conseguenza del cambiamento climatico globale, dobbiamo riconoscere che siamo definitivamente approdati nell’Antropocene, ovvero nell’Età Umana, quella in cui l’umanità è la forza dominante. Oggi non c’è luogo del pianeta che non sia influenzato dagli Umani. Dalla rivoluzione industriale in poi, il nostro modo di vivere ha irrevocabilmente cambiato tutto nella biosfera, generando violente conseguenze per la natura e per la città».
Ovvero viviamo in territori e contesti urbani fragili che si dimostrano incapaci di adeguarsi ai cambiamenti in atto e se è vero che la questione ambientale è globale, è vero anche che ha forti ricadute locali. L’esempio di Venezia e di Matera è solo l’ultima dimostrazione plastica.
«La cosa umana per eccellenza», la città, è in crisi, colta all’improvviso da condizioni che non aveva preventivato e dunque incapace di reagire.
Non è così per tutte le città ovviamente, nel libro sono citate alcune realtà urbane che stanno modificando il loro modo di costruirsi nel tempo. Toronto, New York, San Francisco, Seattle, Stoccarda, Malmö, Anversa, Rotterdam, Lione, Bordeaux, Copenaghen, Barcellona, Brema, Norfolk. Anche in Italia ci sono città all’avanguardia su questo versante, Milano, Bologna, Padova e anche centri più piccoli come Posada, Bomporto e Isola Vicentina.
Due le parole chiave per affrontare i nuovi scenari che si prospettano: flessibilità e adattamento.
Flessibiltà vuol dire soprattutto essere capaci di anticipare il cambiamento e, dunque, modificare in corso d’opera idee e progetti. Adattamento è soprattutto saper orientare le politiche del territorio nella direzione giusta.
Flemming Rafn Thomsen conclude il suo ragionamento con queste parole, «L’urbanistica del XXI secolo deve appropriarsi del tema climatico e porlo in prima linea. La qualità delle nostre città è misurata dalla capacità dello spazio urbano di reagire agli eventi meteorologici estremi».