Si può parlare ancora di
spiritualità per l'arte contemporanea,
immersa e
parte integrante di una società
dominata esclusivamente
dal pragmatismo, dalla convenienza,
dalla speculazione finanziaria,
da un'idea salvifica
del progresso scientifico? E
quanto resta oggi dell'utopia
di Kandinsky che pochi anni
prima della Grande Guerra
profetizzava l'avvento
dell'Era dello spirito? Ed è vero
che all'inarrestabile e velocissimo
avanzamento tecnologico
corrisponde invece, proporzionalmente,
un arretramento
della dimensione etica
e spirituale? Ci si possono porre
queste ed altre domande
fondamentali visitando la mostra
collettiva «Della materia
spirituale dell'arte» presentata
al MAXXI fino all'8 marzo,
curata da Bartolomeo Pietromarchi
e dedicata a Lea Mattarella,
storica dell'arte scomparsa
precocemente che si
era interessata a questa tematica.
Scelta vincente in questa rassegna
è quella di stabilire un
dialogo aperto e libero, anche
nel percorso espositivo, fra arte
contemporanea e 17 strepitosi
reperti collegabili alla storia
arcaica di Roma, provenienti
dai Musei Vaticani, dal
Museo Nazionale Romano,
Museo Nazionale Etrusco di
Villa Giulia e Musei Capitolini
e risalenti a un periodo compreso
tra l'VIII sec a.C. e la fine
del IV sec d.C., ovvero dalle
origini della Città Eterna sino
al momento in cui il Cristianesimo
diventa religione di Stato.
E impossibile non percepire,
più o meno consapevolmente,
la potente dimensione sacrale,
spirituale e magico-rituale
di opere come la coppia
di Pavoni e la coppia di mani
dei Musei Vaticani, il Fegato e
la Gorgone dello Scasato di
Villa Giulia, lo Scarabeo alato
dei Musei Capitolini, la Collana
con Chrismon e la Statua
Leontocefala, entrambe del
Museo Nazionale Romano, la
Gemma della dea Roma dei
Musei Capitolini - Fondazione
Santarelli. Attraverso un allestimento
arioso che lascia
spazio a tanti punti di vista
diversi capaci di unire liberamente
opere antiche e contemporanee,
si avverte chiaramente
l'impossibilità di paragonare
alla frammentazione
caotica e disincantata di oggi
l'aura spirituale di reperti che
vanno al di là dell'arte per diventare
vere e proprie, potentissime,
presenze.
«La coesistenza e la relazione
tra elementi contrapposti è
molto evidente - spiega Bartolomeo
Pietromarchi, Direttore
MAXXI Arte - e la sua messa
in risalto è la forza dell'intero
progetto. E proprio questa impossibile
composizione tra
corpo e anima, tra materia e
spirito a essere la più fedele
rappresentazione della nostra
essenza. Con `materia spirituale
dell'arte', intendo ciò
che fa leva su tale dicotomia,
tra una dimensione materiale
legata all'esperienza personale
e un'esigenza di ritrovare
pratiche e significati che elevino
lo spirito al di sopra di essa».
A proposito di antinomie, ha
ragione un grande archeologo
come Andrea Carandini
nel notare in catalogo (edizioni
Quodlibet) che «la coscienza,
la spiritualità e la verità
stanno sia nella ragione che
nel cuore. Siamo fatti di
un'oscura e rovente energia e
di un luminoso e gelido pensiero».
Fra i 19 lavori esposti
spiccano il trittico «Crown»,
lungo dieci metri, di Francesco
Clemente che unisce l'evocazione
della corona di spine
di Cristo e il concetto di "tessitura"
in ambito tantrico, le piccole
figure con «Idoli e scopritori
del fuoco» di Enzo Cucchi,
il collage con cui Elisabetta
Di Maggio ha utilizzato quasi
mille francobolli usati per
ricreare il pavimento cosmatesco
della Basilica di San Marco
a Venezia.
Fra sacro e profano, kitsch e
spirituale, ecco il «Mandala»
di Kimsooj a fatto di suono, colore
e materia, che fa vibrare
nello speaker di un jukebox
canti tibetani, islamici e gregoriani.
Da segnalare anche la
religiosità cupa ed ambigua
che trasuda dal quadro «Two
skulls after El Greco and blackbird»
di Victor Man, le fotoincisioni
di Shirin Neshat con le
mani offerenti di donne da cui
affiorano i versi del poeta persiano
Omar Khayyam ("Senza
il puro vino non posso esistere"),
l'inquietante sciacallo
del video di Michael Rovner
che rimanda al dio Anubi degli
egizi, «Flotila Nephila Ensemble»
di Tomàs Saraceno
che trasforma il fluttuare della
seta di ragno in vibrazioni sonore,
il quadro «Window Diptych
Green» di Sean Scully, in
cui le campiture di colore diventano
«luoghi dell'attesa e
della rivelazione, sismografi
capaci di captare l'incertezza
del cuore umano».