Arnaldo Momigliano lo definì uno dei libri più pericolosi per certi suoi contenuti che paiono anticipare la perniciosa idea di popolo tedesco come razza pura su cui ha fatto leva il nazismo. Tacito, l'autore del testo in questione, Germania, che Quodlibet ripubblica con la curatela del filologo classico pratese Giuseppe Dino Baldi (oggi la presentazione da Todo Modo, via de' Fossi, alle 18,30, interviene Paolo Maccari) afferma infatti in tempi non sospetti che gli abitanti di quella terra «non si sono guastati unendosi ad altri popoli, ma sono rimasti una razza a parte, pura e simile solo a se stessa. Questa è la ragione per cui si somigliano tutti, per quanto è possibile in una popolazione così ampia: occhi azzurri e penetranti, capelli fulvi, corpi imponenti e buoni solo per gli assalti». E dunque non deve sorprendere se il nazionalismo tedesco, sfociato nel delirio hitleriano, ha scelto questo breve scritto (risalente al 98 D.C.) come pilastro e specchio della propria dottrina. Degenerazione a parte, la sorprendente potenza di Germania — ci dice Baldi nelle 250 pagine di commento a sua firma — sta proprio nell'aver dato la possibilità non solo ai destinatari romani di elaborare l'idea di nazione germanica (e dunque di codificarne il comportamento per restituire l'identikit del nemico da combattere), ma anche agli stessi "barbari". E ai discendenti civilizzati, che hanno fatto dello scritto di Tacito una specie di apologo identitario attraverso i secoli: essenziale fu l'importanza di Germania nella riforma protestante; l'innamoramento poi tornerà anche in epoca romantica; infine nel totalitarismo più efferato. E perché no, Baldi sembra volerci mostrare il filo che dall'epoca in cui il testo fu scritto si spinge fino alla Germania di oggi, alla potenza che tiene in scacco l'intera Europa e la cui evoluzione ha trovato nelle parole di Tacito, nella sua vera e propria "invenzione di una nazione" una fonte a cui non smettere mai di abbeverarsi. L'atteggiamento dell'autore nei confronti dei Germani è duplice, e si dipana su diversi piani narrativi. Dal racconto nel dettaglio di usi e costumi germoglia un'intenzione che è etnografica ma anche (soprattutto?) politica: opporre alla degenerazione dei costumi e della morale del proprio popolo, la genuinità di quei nordici la cui vita era nel segno della semplicità, della difesa della libertà, doti che un tempo erano appartenute ai romani, ma che poi si erano sbiadite. Di più: perse. Certo, Tacito stigmatizza le pratiche primordiali (l'uso del baratto al posto della moneta; la violenza come mezzo per ottenere tutto, anche ciò che potrebbe essere frutto dell'onesto lavoro) ma nel suo invito a conoscere il nemico per sconfiggerlo, c'è anche una severa lezione morale che dà a Germania il duplice valore di «propaganda politica interna e esterna». E, proprio nel 98 D.C., si dà il caso che Traiano diventi imperatore mentre è governatore della Germania superiore. Occasione che fa di Germania un "instant book" ante litteram, ha detto Baldi, scritto in un momento in cui l'interesse dei romani per quella terra era politicamente ai vertici. E cercava risposte che Tacito, con un gesto di marketing politico ante litteram, aveva deciso di dare.