Recensioni / 9 righe

Di questo libro, in cui si alternano diario e poesia, ogni cosa è esperimento, tentativo che si ferma a pochi passi dal surrealismo. Michaux racconta, coi modi del tormento dolce e ribelle, un viaggio che si snoda attraverso una narrazione elaboratissima, in cui gli elementi di quella che è una vera e propria “navigazione letteraria” si dipanano in stili e tensioni incostanti e lunatiche. L’osservazione, la barzelletta, i passaggi teatrali, restano amalgamati soltanto grazie al supremo atto di fiducia del lettore verso lo scrittore, “un uomo che non sa viaggiare né tenere un diario. Ma al momento di firmare, colto da un improvviso spavento, si scaglia la prima pietra. Questa.”
Ci si accorge che non è un viaggio quello raccontato sulle pagine di Ecuador, ma una fuga, o meglio ancora, un seminario sullo smarrimento di un autore che considera la vita come una matassa di ineluttabili approssimazioni. E che si sforza, ossessionato, di non dare importanza a ciò che vede e scrive.