Recensioni / Etnologia antica

Ci si può interrogare sul perché leggere la Germania di Tacito, un libro scritto attorno al 98 d.C. in cui Tacito inventa la nazione germanica, mettendo insieme un eterogeneo gruppo di tribù che vivevano nel nord-est dell'Europa. Eppure basta solo la coinvolgente introduzione di Giuseppe Dino Baldi, curatore preciso e attento di questo libro, di cui è doveroso segnalare il formidabile commento che occupa buona parte del volume e aiuta il lettore a muoversi con agio tra pagine così lontane, per far capire l'importanza di questo testo che, oltre al suo compito di cronaca di un nuovo popolo, è uno strepitoso trattato etnografico in cui il racconto delle tradizioni dei germani diventa il triste monito della fine dell'impero romano. Si respira infatti in ogni pagina di Tacito, che sorprendentemente guarda talvolta anche con ammirazione le doti di questi popoli, un confronto impietoso con ciò che Roma sta diventando: Germania si trasforma allora in un requiem, testimonianza unica di una dissoluzione che avrebbe cambiato il corso della storia. «Uno dei cento libri più pericolosi al mondo», come lo ha definito Arnaldo Momigliano riferendosi all'uso distorto che ne fece la cultura nazista, ma soprattutto un libro in cui, come suggerisce Baldi, «quasi ogni parola apre labirinti di senso il cui intrico è accresciuto dalle interpretazioni prodotte ostinatamente nei secoli»: l'importanza del suo commento sta qui, nel lavoro filologico che si intreccia con valori civili e morali, in una storia antica che ancora oggi può essere monito prezioso.