Recensioni / Gli uomini “no grazie" di Perec e Melville

E quando uno scrittore indossa i panni del critico che si capisce appieno l'urgenza e la sincerità del suo intento creativo: un gioco di specchi che nel caso di Gianni Celati risulta quanto mai chiaro grazie alla raccolta di saggi Narrative in fuga (Quodlibet). Buona parte degli snodi centrali della sua scrittura creativa (spiccato gusto favolistico legato all'oralità, personaggi anonimi dalla vita picaresca, ineluttabilità del comico), tornano qui filtrati dalla rilettura (e sovente dalla traduzione) di grandi libri del passato. Che portano le firme di Melville, Céline, Joyce, Stendhal, Twain.
Un esempio per tutti è offerto dal Bartleby di Melville, l'imperscrutabile scrivano che ad ogni invito all'azione risponde immancabilmente con il famoso ritornello «I would prefer not to» (da Celati tradotto con «Avrei preferenza di no», per salvaguardare un certo, inusitato "manierismo" di tale forma espressiva). Dietro questa risposta reiterata, priva di aggressività, si nasconde l'originale filosofia del personaggio, sul quale «la ratio della legge e dell'utilitarismo non hanno più presa, perché è perfettamente inerte, in stato di riposo»; assolutamente refrattario a qualunque attivismo: «tutto quello che l'utilitarismo considera il male del mondo, l'ozio, l'inerzia, la vita senza scopo, qui ricompare come potenza dello scrivano che attraversa nel suo inespugnabile riserbo il farnetico della vita». Basta aver letto qualche libro di Celati per capire quanto questo personaggio abbia influenzato la sua narrativa. Così come ha condizionato quella di Georges Perec, specificatamente ne L'uomo che dorme (ancora Quodlibet), il cui protagonista è un ragazzo di «venticinque anni e ventinove denti» che di proposito manca un appuntamento dopo l'altro, tra i tanti che la vita gli apparecchia. Accettando il fluire delle cose senza coltivare rancori o desideri di sorta.
Malgrado le molte differenze, sia il Bartleby di Melville che l'Uomo che dorme di Perec prefigurano una tentazione che attraversa l'odierna società come un fiume carsico. Parlo della tentazione di chiamarsi fuori dall'ordine di discorso imperante. Se la scena pubblica e mediatica viene perennemente occupata da quanti sgomitano da mattina a sera per imporsi a tutti i costi, c'è anche chi ha deciso di non stare al gioco. Forse, chissà, predicando — come il Melville riletto da Celati — «l'insondabile potenza dell'essere nel silenzioso riserbo delle cose».

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