La figura di un genitore errabondo,
che corre per mare,
dal carattere ~orale e spesso violento, ricorre in entrambi i racconti
del dittico di Giani
Stuparich, che Quodlibet
manda ora in libreria: L'isola (con una nota di Giuseppe
Sandrini, pp. 99, € 14,00) sonninna al racconto Il ritorno del padre, che precede in
realtà in ordine cronologico,
dato che venne pubblicato sulla rivista «Pegaso» nel 1933.
«Tutti, prima che il padre ritornasse, ne parlavano: ma
adoperavano parole cattive
contro di lui; e ora invece ch'era venuto, nessuno aveva più
osato dire nulla cli sgradevole
in sua presenza». Con il figlio,
gracile al punto di dimostrare
una età inferiore alla sua, prova un imbarazzo paralizzante.
La sua relazione con lui passa da una prova iniziatica, in
cui lo forza ruvidamente a superare il timore del buio, alla
ammissione del legame con
quel fanciullo che a lungo aveva desiderato abbandonare.
L'isola, uscito a puntate su
«Primato» nel 1941, riprende
gli stessi personaggi, capovolgendo decisamente i ruoli. Il figlïo, cresciuto, viaggia infatti
dalle sue amate montagne all'isola di Lussino, incantato specchio veneziano nell'Adriatico,
richiamato dal padre che dice
che quella sarà la sua ultima avventura di viaggio. Una malattia lo consuma: tornando narnitore vede nel luogo magico
dell'infanzia, dove ha trovato
se stesso dopo innumerevoli
umiliazioni, una creatura assai logora, malconcia, che misura i propri passi, che lotta
per ogni azione con l'affanno
che lo paralizza. Il continuo
pendolo del tempo tra im presente segnato dall'alone pesante della malattia, e il passato
mitico del reame crudele
dell'infanzia si snoda in una
prosa essenziale.
Il ritratto del genitore è
crudele, quando si svolge il rito del pranzo, laddove «anche i poveri bocconi molli e
triturati egli faceva fatica a
mandar giù». Il cibò è ormai
un ricordo; resta in quanto
momento di pausa a una irrequietezza continua, il fumo,
cui indulge contro ogni precetto medico: «con le dita come di avorio bruciato».
Il racconto volge al termine
con la consapevolezza che l'estinzione del padre del narratore è ormai prossima. Nella notte impazza una festa di mezza
estate, e la banda suona, senza
freni, per intrattenere i turisti.
L'incanto amaro del ricordo, si
infrange quindi nella consapevolezza che l'uomo sfugge contro ogni logica alla visione della morte, incarnata dal dignitoso, ma sempre più esausto, genitore che «sostava ancora un
poco sul margine della vita, prima di sparire».
I.l congedo dall'isola, mentre padre e figlio prendono il
battello, è quindi un addio, la
coscienza amara di una perdita senza scampo. Stuparich è
maestro nel cesellare dialoghi
sospesi, carichi di ambiguità,
in cui il non detto -avvolge e
quasi stritola una. comunicazione scarna, prima dell'improvvisa epifania.