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Ciò che accomuna Ugo La Pietra e Clino Trini Castelli, al di là delle profonde differenze sugli obiettivi e i modi delle ricerche che conducono, è l’assoluta originalità delle loro rispettive poetiche. Tutti e due, infatti, occupano una posizione singolare nel campo del Design, per questo è riduttivo definirli semplicemente dei designer. Entrambi disinteressati al rapporto forma-funzione, tradizionalmente perseguito dai progetti di questa disciplina, essi preferiscono volgere le loro rispettive indagini verso campi altri, efficacemente documentati nelle loro ultime fatiche editoriali che raccolgono loro testi: storici, quelli di La Pietra; di memorie, quelli di Clino Castelli.
Quodlibet in Argomenti per un dizionario del design (pp. 478, € 32,00) propone un’antologia di novantasette scritti di Ugo La Pietra, datati fra il 1972 e il 2018: articoli, editoriali, introduzioni, saggi, lezioni, appunti, interventi a seminari e convegni che si può ben dire costituiscano la summa del suo pensiero intorno al Design. Sebbene questo volume sia la riedizione di quello già pubblicato nel 1987 da Franco Angeli, l’aggiunta di trentasette pezzi scritti dopo quella data lo arricchisce e lo completa.
Come si sa, Ugo La Pietra ha condotto e conduce ricerche in svariate direzioni nel campo dell’architettura, dell'arte e del design. A proposito di ciò che è “Fatto ad arte" già si è detto in un precedente articolo. Per ragioni di spazio, non sarebbe possibile narrare qui di tutti gli altri suoi molteplici campi di interesse, neppure di tutti quelli concernenti il design (che il libro puntualmente documenta), è perciò la sua mostra milanese La città domestica (alla Galleria Bianconi dal 13 novembre al 20 dicembre) ad offrire l'occasione di privilegiare quello che, fin dagli anni settanta, egli ha manifestato nei confronti del sociale, riferito, soprattutto, al tema della città.
In particolar modo, da sempre critico nei confronti del cosiddetto ‘arredo urbano' e contrario alla tendenza di trasformare il paesaggio fisico della città inserendovi “oggetti a basso costo per un grande numero", che i designer non vedono l'ora di progettare sperando che vengano realizzati al più presto, Ugo La Pietra, sia nella mostra che nel capitolo omonimo del libro, sceglie invece di occuparsi delle possibili relazioni tra l’uomo e l'ambiente costruito. Facendo ricorso alla fantasia e al gioco, insinua i suoi interventi poetici in quei margini ancora non occupati, che egli definisce “gradi di libertà”.
«Nella mostra La Città Domestica – si legge nel comunicato stampa – una serie di attrezzatture urbane, rilevate nella città di Milano dal 1979 ad oggi, sono state dall’autore riprogettate stravolgendo la loro destinazione d’uso: da strutture di servizio della città a strutture di servizio per lo spazio domestico. Seguendo il principio ‘Abitare è essere ovunque a casa propria’, La Pietra ha trasformato gli oggetti urbani in complementi per l’abitare domestico, lo spazio pubblico in privato e viceversa, estendendo l’idea di cellula abitativa all’intera città, da cui la mostra prende il titolo.»
Ed ecco allora che, sovvertendo ogni rapporto metrico ed ogni destinazione d'uso consueta delle cose, Ugo La Pietra trasforma la banalità di quelli reali, in oggetti magici, come librantisi in una dimensione da fiaba quasi surreale, dove una barriera di delimitazione urbana a strisce bianche e rosse diventa un recinto per i giochi dei bambini; i coni di segnalazione da cantiere si riconvertono in gambe per un mobile bar, tinto con il tono caramelloso del rosa e avente le sembianze di un teatrino giocattolo; uno specchio circolare stradale diventa, invece, un supporto per un lavandino da esterno, mentre un lampeggiante da cantiere viene tramutato in lampada da tavolo, con tanto di calotta in metacrilato decorata a mano e poi molto, molto altro ancora.
Così, in proposito, scrive Marco Scotini, curatore della rassegna: «Si tratta di un vero e proprio spazio di profanazione in cui l’artista intende restituire all’uso (alle pratiche sociali) quanto gli era stato sottratto. E questa modalità di profanazione sceglie le forme del “gioco”, dove qualsiasi cosa può essere trasformata di colpo in giocattolo, in un’appropriazione che non tiene conto di ciò che è separato, di ciò che ha un diverso fine e che non può essere utilizzato per altro scopo.»
Tanto la serie di opere chiamate Attrezzature Urbane per la Collettività, cui appartengono quelle sopra descritte, quanto gli Arcangeli metropolitani (che facevano parte del ciclo Riconversione urbana, originariamente esposti nella stazione di Melchiorre Gioia della metropolitana milanese), ogni singolo oggetto, imparentato ai ready-made di memoria dada, presente in questa mostra (il cui sottotitolo potrebbe benissimo essere In ludo veritas) rivela l'anima radical del loro autore. Perché c’è da dire che il messaggio radical, lasciatosi alle spalle l’effetto scioccante e volutamente provocatorio suscitato al suo apparire sulla scena dell'arte, conserva invece intatta, oggi, a distanza di più di cinquant’anni, la freschezza del suo convincimento che un diverso modo di progettare sia possibile (diverso dal good design, dalla ricerca del rapporto forma/funzione e dalla serializzazione), un modo che, da oracolistico, e perciò allora sostenuto da pochi, è ora diventato condiviso e praticato da molti. Lo confermano, ad esempio, le più recenti tendenze del design, quali l’autoproduzione, il Narrative Design e il Social Design, di cui si è detto più sopra, che senza la stagione radical molto probabilmente non sarebbero potuti esistere.
Ancora una volta, Ugo La Pietra è stato profetico e, come se non bastasse, lo è stato in patria.
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