A qualche anno dall'indagine sull'autoficrion nella letteratura contemporanea (L'io possibile, uscito per Transeuropa, 2014),
Lorenzo Marchese pubblica con
Quodlibet un corposo saggio che
organizza i suoi recenti studi sullo
sviluppo della non-fiction in Italia.
E un momento fortunato, per la nostra critica letteraria: dopo La realtà
rappresentata (Quodlibet, 2019, cfr.
«L'Indice» 2019, n.10),
l'antologia curata da Raffaello Palumbo Mosca
sul cosiddetto ritorno al
reale nel romanzo italiano, Marchese consegna
allo spartito pubblico
dei contemporaneisti un
testo fondamentale per
orientarsi entro i confini
di un non-genere plurale
e vastissimo.
Prima di addentrarsi
nella scrupolosa mappatura di temi,
strutture e tipologie di non-fiction
negli ultimi decenni dí letteratura
italiana, lo studio di Marchese esordisce con un capitolo teorico che
si propone di inquadrare, mettere
a fuoco e storicizzare il fenomeno:
all'inizio si parte da una definizione
di non-fiction possibile solo in negativo, quindi attraverso ciò che non
è o ciò per cui si differenzia dalla
narrativa finzionale, e soltanto quaranta pagine più tardi si arriva a una
formula definitiva: la non-fiction
contemporanea è un tipo di discorso
narrativo che s'incarica di raccontare
storie realmente avvenute e documentabili (in particolare dalla cronaca recente) usando gli strumenti
formali e 1e strategie retoriche della
letteratura d'invenzione".
Prima di segnare il punto, però,
ripercorriamo dal principio il ragionamento di Marchese, che prende le
mosse dalle distinzioni della Poetica
di Aristotele e approda fin dalle prime pagine alle teorie di Paul Ricoeur
in Tempo e racconto: lo statuto di una
scrittura di tipo storiografico, dice
Marchese, dipende dalla disponibilità dell'autore a sottoporre il proprio
testo a dei controlli dì veridicità,
a
dimostrare quindi la riscontrabilità
dell'opera su un piano fumale. Una
separazione netta tra i due discorsi
della storia e della poesia, prima che
intervenga la non-fiction a mescolarli, è essenziale: il rischio, che poi
è quello denunciato in Italia da Momigliano e Ginzburg, è di appiattire
la storiografia sulle opere d'immaginazione, e per questo depotenziarla.
Se non è poi così difficile individuare
un nucleo di verità dimostrabile nel
discorso storiografico, è anche vero
che quando si ha a elle fare con la
letteratura la questione finisce per
complicarsi: già il romanzo del Settecento
conosceva gli espedienti
e gli stratagemmi formali
per intorbidire il campo
letterario e confondere
il piano della realtà documentata con quello
della finzione: si pensi,
ad esempio, ai Promessi
sposi<7i> o al Don Chisciotte.
Nel corso del Novecento, infine, i due ambiti
si allargano ancora di più, i singoli
oggetti culturali si confondono, la
casistica di oggetti "a metà" aumenta
considerevolmente: insomma, nasce
la non-fiction.
La constatazione di fondo, infatti,
è che negli ultimi venticinque anni
di produzione letteraria in Italia ci
siano stavi sconfinamenti e sovrapposizioni che hanno smagliato la
tenuta della finzione narrativa.
I vettori sono due: l'inserimento di
elementi cronachisrici nell'economia di una storia romanzesca, oppure l'adozione in letteratura di forme
che per statuto apparterrebbero ad
altri linguaggi: l'autobiografia, il
memoir, l'odeporica, il reportage.
Tipologie di scrittura, queste, che la
non-fiction manipola e vira in direzione narrativa. Quest'ultima linea,
quella che fa rientrare il dato reale
nel tessuto del romanzo d'invenzione, è la non-fiction propriamente
detta. Proprio per questo, secondo
Marchese, non ha senso parlare di
ibridazioni, come invece molti critici hanno fatto e continuano a fare
quando è necessario mettere etichette ai libri: la non-fiction si avvale delle strategie d'invenzione proprie
del romanzo e insieme si dota di
elementi di realtà propri di altre
forme. Parlando dei rapporti porosi
tra i due campi, Marchese sostiene
che "è troppo ampio e impreciso il
ventaglio offerto dai due insiemi"
perché ci si possa permettere una
lettura monolitica con la quale indirizzare in un blocco o nell'altro ogni
opera che ci capita sottomano. Non
ibridazione, insomma, ma scambio
continuo e reciproco fra "scritture
a
esclusiva vocazione veridica" e "scritture d'invenzione".
È lodevole, di queste Storiografie
parallele, l'atteggiamento problematico che Marchese adotta con
le categorie, contro le distinzioni
manichee e gli incasellamenti di comodo: ogni libro è un caso a sé e può
sfuggire dalle schematizzazioni, non
esiste mai una regola preconfezionata e sempre valida, la critica letteraria va esercitata sul caso singolo
di un insieme plurale e molto spesso
informe, perché a riflettere troppo
sulla coralità e non sullo specifico si
rischia di scollare la teoria dalla materia del testo. La non-fiction secondo Marchese non è un genere letterario, ma un modo di documentare
il proprio presente o la storia usando
gli strumenti formali della narrativa
d'invenzione (il romanzo ha natura
onnivora: gli scrittori di non-fiction
vorrebbero allontanarsene ma ne
vengono inesorabilmente calamitati). Ed è così che il saggista ricostruisce la storia di una nebulosa plurale e
vastissima: parte da Truman Capote
e arriva al New Journalism, in Italia
cita le scritture di reportage degli
anni novanta ma guarda anche alle
osservazioni paesaggistiche di Celati, allo Stadio di Wimbledon di Del
Giudice e ai libri di Aldo Busi, indaga í rapporti tra il presunto "ritorno
alla realtà" del romanzo italiano e la
galassia della non-fiction, che a dire
il vero si è manifestata ai lettori ben
prima del 9/11 odi Gomorra, le due
principali concause di questa rinnovata famedi realismo in letteratura.
Il quadro d'insieme che mettiamo
a fuoco osservando questo testo da
lontano è scomposto e frammentato
tanto quanto lo è la letteratura italiana degli ultimi decenni: come sa
chiunque si sia occupato di contemporaneità, ricostruire un disegno
unitario o almeno lineare non solo
è
impossibile, ma controproducente:
Trevi, Armino, Trevisan, Janeczek,
Pascale, Leogrande, Alajmo, Orecchio, Siti, Pischedda. Autori diversi
e spesso provenienti da esperienze
letterarie distanti, ma qui tenuti insieme da un discorso ad ampio raggio, suddiviso in due capitoli — La
manipolazione dei discorsi e Temi,
costanti, tensioni — a loro volta articolati in linee più specifiche: da una
parte si analizzano i testi secondo le
tipologie (scrittura di viaggio, saggistica narrativa, reportage, biografia),
dall'altra per temi portanti (la dialettica tra trasparenza e autenticità,
quella tra parzialità e menzogna,
tra opposizione e conciliazione, tra
impotenza ed espiazione). Chiunque in futuro vorrà studiare la nonfiction italiana, per curiosità o per
ragioni accademiche, non potrà fare
a meno di passare di qui: anche noi,
nel 2019, finalmente abbiamo in
questo libro la fotografia dello stato
delle cose.