Recensioni / Taubes e il destino ultimo dell'Occidente

Questa epoca, in cui si è varcata la soglia della storia occidentale, innanzi tutto sa di essere il non-più del passato e il non-ancora di ciò che viene. Quest'epoca appare insufficiente a tutti gli spiriti deboli che cercano protezioni e sicurezze. Ma non giova a ciò che viene se si impreca contro ciò che è stato o si cerca di rianimarlo; solo resistendo nel non-più e nel non ancora, nel nulla della notte, ci si mantiene aperti ad accogliere i primi segni del giorno che viene». Scritte nel 1947, queste parole, danno la misura della domanda custodita dal libro che le ospita. Si tratta di Escatologia occidentale, ora ripubblicato dopo forse due decenni di assenza dagli scaffali, da Quodlibet. Il testo, il solo e unico libro mai scritto e pubblicato in vita da Jacob Taubes, è accompagnato dalla prefazione di Michele Ranchetti, già presente nella prima edizione, e arricchito della postfazione di Elettra Stimilli, una delle maggiori esperte al mondo del filosofo ebreo, curatrice del suo epistolario con Gershom Scholem e autrice della miglior introduzione al suo pensiero oggi disponibile, Jacob Taubes. Sovranità e tempo messianico (Morcelliana, pagine 278, euro 24,00).
A riconoscere quanto questa figura del pensiero del Novecento sia rilevante basta scorrere le firme dei contributi raccolti nel volume dato alle stampe per festeggiare, nel 1983, il suo sessantesimo compleanno. Emil Cioran, Jacques Derrida, Jean-Luc Nancy, Odo Marquard non hanno esitato a contribuirvi. Eppure il suo nome non svetta nell'empireo visibile della filosofia, pare lasciato ai margini anche se come un fiume carsico fa capolino nelle pagine di Peter Sloterdijk, Roberto Esposito, Giorgio Agamben.
Nato a Vienna, Taubes, per sfuggire alle persecuzioni nazionalsocialiste, ripara a Zurigo, dove avent'anni diventa rabbino. Nel contempo segue i corsi di Karl Barth e Hans Urs von Balthasar. Cinque anni dopo si trasferisce a New York per insegnare al Jewish Theological Seminar, dove lavora con Leo Strauss e conosce Gershom Scholem, avviando con questo un rapporto tormentato e conflittuale che lo porterà comunque per un periodo all'Università di Gerusalemme. Dopo la rottura con lo studioso della cabala Taubes rientra negli Stati Uniti, per insegnare a Harvard, Princeton e alla Columbia University di New York. Nel 1966 si trasferisce definitivamente a Berlino per tenervi la cattedra di ebraistica e dirigere il dipartimento di ermeneutica, che negli anni della contestazione diventa luogo di incontro del movimento studentesco capeggiato da Rudi Dutschke. Di lì a poco, il quasi simultaneo suicidio del padre e della moglie rendono l'ultimo periodo della vita inquieto costringendolo a ricorrere più volte alle cliniche psichiatriche. E questo il momento in cui si concretizza il suo incontro con Carl Schmitt. Grazie all'intervento dell'amico di una vita e, un tempo, segretario di Ernst Jünger, Armin Mohler, nel 1978 il giurista e il filosofo si ritrovano a Plattenberg, luogo del ritiro di Schmitt. Il confronto tra i due ruota intorno alla questione della teologia politica che sarà il tema dell'ultimo seminario del filosofo dedicato a San Paolo e conclusosi poche settimane prima della sua scomparsa, che sopraggiunge il 21 marzo del 1987.
Oggi che si pensa che la storia sia finita, rimasticando la rimasticatura kojeviana di Francis Fukuyama del 1989, e si vive come vero quanto alluso dall'acronimo TINA (there is not alternative, non ci sono alternative), che nega l'esistenza di vie di fuga dal sistema economico-politico attuale, interrogarsi sulla storia è indispensabile se non addirittura vitale. E proprio per questo la riflessione di Taubes avanzata in Escatologia occidentale nel 1947 è un confronto irrinunciabile. La lunga ricostruzione dell'apocalittica nella cultura occidentale, muovendo dal profeta Daniele e passando per san Giovanni, Marcione e il pensiero gnostico, Origene e sant'Agostino, fino a Gioacchino da Fiore e Thomas Münzer, per scendere poi fino Lessing, Kant, Hegel, Marx e Kierkegaard, serve a Taubes a verificare «l'esigenza di compimento del tempo propria dell'apocalittica — commenta Stimilli — come espressione della visione temporale escatologicamente orientata». Insomma quale bisogno si adombra, nell'attesa escatologica tanto presente nella storia occidentale?
Per indagare la questione, in una prospettiva che si pone di là da ogni storicismo e progressismo, occorre per Taubes non considerare gli accadimenti storici in sé, di qualsiasi portata siano. E questo vale anche per la Shoah mai evocata nel testo. Solo interrogando la storia dal suo prima o dal suo dopo è possibile riconoscere che «la cronologia escatologica — scrive il filosofo ebreo — presuppone che il tempo, in cui tutto ha luogo, non sia una semplice successione ma che sia volto a una fine». Se invece si prendessero in considerazione gli avvenimenti si rimarrebbe intrappolati nella storia, come si ostina a fare Hegel, vanificando ogni discorso sulla sua fine ma anche ogni indagine che si ponga il problema di studiarne l'essenza.