Recensioni / Luciano Curreri, La Comune di Parigi e l’Europa della Comunità?

Il punto interrogativo presente nel titolo permette immediatamente di intuire che l'intero lavoro è la risposta, o meglio, la ricerca di una risposta a una sfida che l'autore stesso si è posto, nonché una provocazione per il lettore: rintracciare la residuale potenzialità comunicativa della Commune de Paris atta a renderla una “Comune permanente”, dunque ancora viva nell'Europa odierna. Nel rispondere all'audace quesito, lautore Luciano Curreri intraprende un viaggio a ritroso attraverso le parole di autorevoli pensatori politici, filosofi, letterati e artisti. Il dialogo che abbatte le barriere spazio-temporali, le voci di Bachtin, Benjamin, Blum, de Rougemont, Hugo, Lefebvre, Lenin, Marx, Rimbaud, Rougerie, Zola, per citarne solo alcuni, e i contenuti delle tavole a fumetti di Tardi e Vautrin, tra gli altri, costituiscono la struttura portante del saggio. Le innumerevoli citazioni, spesso in lingua francese, e i riferimenti direi all'ampia bibliografia sebbene incuriosiscano e arricchiscano l'argomentazione, restringono inevitabilmente il bacino di fruizione del lavoro a una ristretta cerchia di simpatizzanti. La prosa, ricca di rimandi, incisi e artifizi retorici, ne intacca forse la scorrevolezza. Ma non è questo l'obbiettivo della penna “birichina” di Curreri, così come la definisce ripetutamente lo stesso autore, che spoglia l'esperienza politica della Comune di Parigi (la quale storicamente coprì un brevissimo arco temporale che va dal 18 marzo al 28 maggio 1871) di quell'aura, di quell'iconicità da pamphlet della Sinistra d'ogni tempo. I comunardi parigini non rappresentano un'avanguardia né un unicum storiografico: le loro radici si nutrono del 1792 rivoluzionario e, seppur destinate a soccombere, altre coeve Comuni sorgono in tutto il territorio francese e, infine, esperienze comunarde hanno visto la luce da Occidente (Berlino 1919­, Budapest 1919 e 1956 , ma anche la Fiume dannunziana del 1920­) a Oriente (Canton 1927­ , Shangai 1967­ ). La Commune de Paris stessa guardava al di là della propria realtà cittadina: pensava a una Francia e a un'Europa di Comuni: a una “Comune permanente”, antesignana della trotskista “Rivoluzione permanente”. Entro questa prospeiva, Victor Hugo (1802-1885, unico letterato del tempo vicino all'esperienza comunarda, esorta all'esportazione della Comune con parole di vibrante attualità: “Paris veut, peut et doit offrir à la France, à l'Europe, au monde, le patron communal, la cité exemple” e “nous écrivons sur notre drapeau: États-Unis d'Europe”. La semaine sanglante che metteva violentemente fine alla Comune parigina pare disattendere queste speranze. Eppure, un secolo dopo, nel 1976­ , quando une effettiva comunità europea vede la luce ed è alla ricerca della propria identità, lo scriore Denis de Rougemont suggerisce proprio di fare del “piccolo” il prototipo del “grande”, di guardare ai villaggi e alle comunità di quartiere, rigettando quel centralismo che tanto ci avvicina all'assolutismo che rinneghiamo. Quello di Hugo, di de Rougemont e, posizionandosi su questo fil rouge, dello stesso Curreri è un appello a rivolgere lo sguardo alla sintonia epocale vericatasi in quel 1871 tra l'urbana geografia parigina e la Comune politica, per riproporla nell'Europa di oggi, mentre le nostre capitali, le nostre città si svuotano di senso comunitario, riducendosi a immagini di se stesse. Seppur “sgangherata e spennacchiata”, la Commune de Paris è un'eterna fenice che ha ancora qualcosa da dirci.