Recensioni / Perché leggere oggi la Germania di Tacito?

Di che cosa sia la Germania di Tacito qualcuno ha una vaga memoria scolastica. L’autore, Publio Cornelio Tacito, è un senatore romano vissuto a cavallo tra il I e il II secolo, ricordato come uno dei più grandi – se non il più grande – storiografi della latinità. L’opera in questione è il De origine et situ Germanorum o Germania, relazione sulle popolazioni che all’epoca abitavano la zona tra il Reno e il Danubio, una «terra informe, dal clima pessimo, squallida a viverci e senza nulla di bello». E fin qui ci siamo. Del perché sia opportuno riproporre la Germania di Tacito al grande pubblico, nel 2019, è bene invece soffermarsi a discuterne.
Della pubblicazione se ne è occupata l’editrice marchigiana Quodlibet con la curatela del giovane filologo classico Giuseppe Dino Baldi che, sempre per Quodlibet, aveva già curato l’Anabasi di Senofonte. Chiedersi perché ripubblicare la Germania non è una domanda innocua, soprattutto se si pensa che la Quodlibet è una editrice piuttosto giovane e che, secondo quanto dichiarato da uno dei fondatori, Gino Giometti, lavora su «testi che devono reagire sull’attualità, gettarvi sopra una luce inattesa». Questa della “reazione sull’attualità” è una chiave di lettura che non solo ci aiuta ad indagare i motivi di questa nuova edizione del testo, ma che si presta bene anche ad un inquadramento più generale dell’opera di Tacito che, utilizzando le parole di Baldi e dell’editoria contemporanea, al momento della sua composizione poteva dirsi un vero e proprio Instant book. Tacito infatti scrive questa monografia sui Germani (l’unica opera autonoma su un popolo straniero pervenutaci dall’antichità) nel 98 d.C., proprio nel momento in cui il neoeletto imperatore Traiano parte alla volta di quelle terre caotiche e pericolose per riorganizzarle e assicurarne i confini. Tacito, di rango senatorio, all’epoca della partenza di Traiano per la Germania si trovava in un momento delicato della propria carriera politica: aveva infatti dovuto interrompere per un breve periodo le sue attività a causa di una dura persecuzione al senato attuata da Domiziano; ma ora i tempi sembrano maturi per tornare a calcare la scena pubblica, magari ingraziandosi fin da subito il nuovo imperatore. Decide quindi di mostrarsi solidale con Traiano e di prestare il proprio ingegno alla stesura di un’opera che aiuti Senato e il popolo romano ad empatizzare col princeps, ad entusiasmarsi per le sue imprese. La storia diede poi ragione a Tacito, che siglò così l’inizio di un fortunato rapporto tra imperatore e Senato: si pensi che Traiano, oltre a portare l’impero alla sua massima estensione, verrà ricordato dagli storici come optimus princeps e sarà addirittura deificato dal Senato al momento della sua morte. Il resoconto etnografico che nasce da questa volontà di rivalsa è breve, agile, scritto in uno stile curato e di grande effetto, oggi proposto con una divisione in brevissimi capitoli ognuno incentrato su uno degli usi di questo popolo così diverso, tanto lontano da apparire esotico, ma abbastanza vicino da suscitare curiosità e, a tratti, paura.
Ad analizzare i contenuti però – come ci avvisa anche Baldi nel suo lunghissimo commento di 250 pagine, contro le 90 del testo tacitiano, che sono la vera forza di questa edizione – vediamo che le informazioni geografiche sono scarne, approssimative, la storia appena menzionata, i costumi descritti con particolari edulcorati; in sintesi, la Germania che ne viene fuori non solo non è un testo scientifico, ma non aspira minimamente ad esserlo. Anzi, le fonti sono assolutamente obsolete, forse anche volutamente: Tacito sceglie con cognizione di causa di servirsi delle informazioni che ne aveva dato Cesare centocinquanta anni addietro, nonché delle testimonianze di alcuni soldati che lì avevano servito diversi anni prima. In sintesi, Tacito non ha velleità cronachistiche o naturalistiche, e a saper leggere tra le righe salta all’occhio invece l’intento propagandistico e ideologico. Il testo è tutto teso a rendere un ritratto evanescente, dai confini torbidi, di un popolo che poi in verità popolo non era: le popolazioni e le tribù germaniche non furono mai davvero unite dal punto di vista identitario, né si sentivano tali, e i brevi momenti di accordo (come accadde ad esempio nel V secolo) erano finalizzati alla mera sopravvivenza. Anche per questo si dice che la Germania in realtà non esisteva, ma che nacque per invenzione romana. E con uno scopo abbastanza palese: l’imprecisione della sua relazione lascia a Tacito tutto lo spazio di manovra di cui ha bisogno per creare l’abbozzo di un nemico, temibile quel tanto che basti a far convergere il favore dell’opinione pubblica verso il migliore di tutti i principi che lo sta riducendo all’ordine. E nel frattempo, perché no, far riflettere i Romani attraverso il confronto col diverso sul loro spirito e sui tempi che stanno vivendo. Ecco il senso dell’Instant book tacitiano, ecco il senso della stesura della Germania nel Primo secolo. Ma nel Ventunesimo?
Ovviamente individuare e comprendere le cause e gli effetti degli eventi è tanto più semplice quanto più si guardi da lontano, guadagnando il quadro d’insieme; ma quando gli eventi ci sono contemporanei e famigliari diventa difficile guardare con la giusta prospettiva. Non si dimentichi poi il fattore psicologico dato che, nel parlare di qualcosa che ci riguarda da vicino, siamo obbligati a fare i conti con noi stessi, con le nostre paure, i nostri desideri e le nostre colpe. Lo stesso accade quando si legge nel 2019 la Germania tacitiana, sia nel testo reso fluidissimo da Baldi che nell’esaustivo e saporito commento: il lettore contemporaneo non può fare a meno di chiedersi quanto della Germania di Tacito ci sia nella Germania attuale, e subito si aziona un campanello d’allarme che lo fa correre al riparo dalla memoria di quello che la Germania ha rappresentato per la nostra storia più immediata, il fantasma di quello che si deve evitare ad ogni costo che questa possa rappresentare ancora. L’attenzione si sposta inevitabilmente a quel breve capitolo che Baldi intitola Le fortune della Germania e che ci ricorda che qualcuno, non molto tempo fa, prese in prestito la sezione sulla “purezza della razza” (capitolo 4) per farne un manifesto e un’arma. Subito ci si sdegna e si grida contro, giustamente. Subito, nel clima di globale arroccamento dei governi su posizioni conservatrici, i dissidenti sentono il bisogno di dichiarare fermamente il proprio disaccordo, esigono l’innalzamento di un monumento contro il Fascismo e il Nazismo, di un altare su cui piangere i martiri di quei giorni. Così almeno parrebbe che i più vogliano leggere le intenzioni di Baldi e di Quodlibet. Eppure non è questo probabilmente il senso più profondo della sua ripubblicazione. È senz’altro il senso più comodo, perché è anche il modo più veloce e meno faticoso di leggere la Germania di Tacito. Di leggere, in generale. Ma in verità Baldi ci chiede uno sforzo ulteriore, che per facilitarci ha espresso esplicitamente in chiusura dell’introduzione dell’opera: “De te fabula narratur”, avvisa Baldi, prendendo in prestito la satira di Orazio: “parla di te, questa storia”. E non lascia questo concetto intrappolato in una citazione letteraria ma ce lo spiega con pazienza, prendendoci amorevolmente per mano, perché sa quant’è faticoso quello che ci chiede: in primo luogo, evitare di correre in piazza a strepitare il nome della fazione più giusta, di prendere una parte, di fare l’errore di credere che esista una romanità con i suoi eredi, che si oppone ad una Germania, con altri eredi; che esistano uomini civili e uomini no, come direbbe Vittorini. Baldi ci invita a cambiare prospettiva, parla dell’esercizio di “triangolazione dello sguardo”. Relativizzare, ricontestualizzare, rileggere la Germania perché ci sia utile ancora oggi, soprattutto oggi. Non c’è più quella “terra informe e squallida a viverci”; c’è ancora la memoria di quello che è stata nel secolo scorso, ma ormai non è più nemmeno questo: oggi la Germania è tutt’altra realtà, una realtà che va letta nel suo rapporto con l’Europa e col mondo, ma che, esattamente come ai tempi dei Tacito e dei Traiano, ci obbliga ad interrogarci su chi siamo su chi vogliamo diventare – non solo noi Italiani, ma noi tutti eredi di Roma. Per questo la chiusura di Baldi, dopo tante pazienti spiegazioni, è un appello a cui siamo chiamati a rispondere: “La Germania continua a parlarci perché racconta la nostra storia ed evoca la nostra parte di buio, è un modo per riconoscerci e per riappropriarci di ciò che siamo stati e che siamo ancora oggi: barbari e civili, familiari e odiosi a noi per primi. Il riconoscimento di questa complessità e delle contraddizioni che contiene è il primo passo, mi pare, verso l’unica forma possibile di civiltà europea.”