Recensioni / La coscienza ecologica si fa spazio tra le righe

Le colossali scavatrici della miniera di Hambach, in Germania, sembrano enormi dinosauri di metallo. Spianano rilievi, mangiano antiche foreste e villaggi, formano e deformano il terreno. Sono come una forza geologica. Per questo Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier le hanno incluse nel progetto multimediale «Anthropocene», che ritrae (ed estetizza, peccando a volte per eccesso di sublime) paesaggi riconfigurati in modo sconcertante dall'azione dell'uomo. Iniziato con la diffusione del colonialismo e della schiavitù, proseguito con la Rivoluzione industriale, l'Antropocene ha oggi i suoi scenari emblematici proprio in questi luoghi estremi. il termine definisce infatti un'epoca geologica — la nostra — in cui l'uomo è diventato un decisivo agente di trasformazione di ambiente, territorio e clima. Oggi la parola è così diffusa da apparire già abusata; anche per questo sono stati già proposti e adottati vocaboli assonanti e idee alternative, come Capitalocene o Chtulucene. Questa seconda parola, ispirata al personaggio fantastico di Chtulhu inventato da Lovecraft, mette l'accento sulla relazione tentacolare tra l'uomo e l'ambiente; a coniarla è stata Donna Haraway, in un libro suggestivo, tra saggio e fiction, da poco tradotto in italiano da Claudia Durastanti per le edizioni Nero: Chtulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (di Haraway è uscito da poco in italiano anche Le promesse dei mostri, a cura di Angela Balzano, DeriveApprodi).
Sopravvivenza e adattamento sono corollari dell'idea di Antropocene, che si basa sulla coscienza dell'irreversibilità di un cambiamento non recente né contingente, ma di lunga durata e strutturale; coscienza che si oppone a un'ecologia della sostenibilità, fondata su una conciliazione tra sviluppo e tutela dell'ambiente ritenuta fuorviante, se non proprio irrealistica. Per comprendere e vivere consapevolmente l'Antropocene, occorrerebbe infatti superare l'idea di controllo, anche virtuoso, della natura da parte dell'uomo. Come ogni cambiamento, anche questo ha bisogno di rappresentazioni e di racconti. Ha bisogno, in una parola, della letteratura. Lo ha spiegato Amitav Ghosh in La grande cecità e ha provato aillustrarlo nel suo ultimo romanzo, L'Isola dei fucili (trad. di Anna Nadotti e Norman Gobetti, Neri Pozza, 2019), fin troppo didascalico nella costruzione di una vicenda che si snoda lungo l'intero arco storico dell'Antropocene, dall'età delle grandi esplorazioni al riscaldamento globale. Non si tratta però solo di narrare le conseguenze apocalittiche della crisi climatica, né tantomeno di invocare un ritorno alla natura (è eloquente, rispetto a questo mutamento di paradigma, il titolo del saggio di David Lombard, Techno-Thoreau, Quodlibet, 2019, che fa reagire l'opera di un autore-feticcio dell'Ecocriticism con le variabili teoriche più attuali). Si tratta invece di rappresentare l'umano in termini di specie, situandolo nel tempo profondo, quello cioè che precede e supera i limiti cronologici e sociali della Storia e quelli esistenziali dell'individuo. Il tempo percepito e raccontato all'epoca dell'Antropocene non si misura infatti con il metro degli eventi particolari. Questo salto di scala incide sui temi e sulle forme della scrittura, che tendono al fantastico e al weird, ma che mirano soprattutto a ricollocare l'umano in una dimensione più estesa e totale. Opere come Gli increati e Il grido di Moresco (letto alla luce dell'Antropocene da Carla Benedetti) o Terminus radioso di Volodine sono esempi di questa tendenza. In una chiave simile può essere interpretata anche la rinnovata attenzione nei confronti dell'animalità: casi diversi ma complementari sono la favola ecologica Volpe 8 di George Saunders (Feltrinelli, 2019, trad. di Cristiana Mennella), che adotta il punto di vista dell'altro sperimentando oltre allo straniamento anche un linguaggio ibrido; e, in Italia, il romanzo distopico L'invenzione degli animali di Paolo Zardi (Chiarelettere, 2019).
Anche la teoria e la critica letteraria si stanno rivolgendo verso un immaginario di soglia e una prospettiva di specie, cui attribuire il valore di una vera e propria risorsa di sopravvivenza. Si ispira a quest'idea l'ebook Sapiens Sapiens. Ambiente, arte, tecnologia, pubblicato in queste settimane nelle edizioni di «Doppiozero», che raccoglie saggi tra gli altri di Mario Barenghi, Marco Belpoliti, Matteo Meschiari. La costruzione di scenari fittivi permetterebbe infatti di elaborare strategie di adattamento utili per orientarsi in un mondo che già subisce le conseguenze del disastro ecologico. E il 'gioco' che lo stesso Meschiari ha chiamato La Grande Estinzione, nel suo blog e nel pamphlet tra letteratura e antropologia così intitolato, da poco uscito per la casa editrice Armillaria. Le opere di McCarthy, VanderMeer, Volodine prese in considerazione da Meschiari possono contribuire a farci «individuare le variabili [...] che portano ogni civiltà al collasso [...] e scoprire quale modello eco-socio-economico e ideologico sembra il più adatto alla sopravvivenza della specie», all'insegna del motto: fiction is action.
Ma la letteratura al tempo dell'Antropocene non è solo quella narrativa. Come spiega il saggio di David Farrier Anthropocene Poetics (University of Minnesota Press, 2019), la poesia può essere anzi la forma ideale per esprimere la relazione tra un soggetto e gli elementi che lo circondano attraversi spazi multipli e tempi preposteri. Lo confermano i libri recenti di Laura Pugno e l'ultima raccolta di Jorie Graham: fast (trad. it. di Antonella Francini, Garzanti, 2019). «Sono umana io chi / lo sa» si chiede Graham in una delle prime poesie. Nel prendere la parola, l'«io» mette qui subito in dubbio la propria unicità, condividendo il suo ruolo anche con il non umano: gli oceani, le piante, la materia. Questa relazione è in realtà una continua transizione o trasmissione (due parole-chiave del libro), che non riguarda solo l'esistenza dell'individuo ma anche l'oltrevita della materia. Nell'esprimere quel divenire veloce (questo uno dei significati del titolo), Graham conta sulle forme sintetiche cui ha accesso la lirica, rappresentando condizioni e passaggi attraverso i segni sulla pagina, come le frecce che sostituiscono spesso la punteggiatura.
Narrativa, saggistica e poesia rimandano, da prospettive distinte, alle questioni implicate dall'Antropòcene. Sul piano degli studi letterari, la parola e il concetto servono a questo: non tanto a proporre una ripartizione storica o una chiave teorica alternative a quelle correnti, quanto a riconoscere le corrispondenze e gli incroci tra generi, testi e autori diversi. Percepire questo sfondo comune e globale è utile per avere un'idea pratica di cosa sia e cosa cerchi la letteratura oggi, al di là delle categorie e delle classi di valore che abbiamo ricevuto dal Novecento.