Tra gli scrittori in lingua italiana, qualcuno ama le cose
semplici. Non fanno propriamente una corrente, anche
perché interpretano con diversi stili il tema della semplicità.
E nelle stime si possono dire rari o assai rari. Il libro di Matteo
Terzaghi, La Terra e il suo satellite
(Quodlibet, pp. 112, euro 14),
può essere annoverato tra i testi di questo genere. È composto infatti da trentaquattro
prose brevi e brevissime, tra il
narrativo e il saggistico, ciascuna delle quali agisce come uno
spillo che incida una superficie minuscola. Osservazioni
minute, ricordi puntuali, riflessioni circostanziate su oggetti, eventi, situazioni, persone, luoghi, sempre valorizzati
nell'accezione del simplex.
Chi ama la semplicità non va
confuso col tipo del semplificatore, che si muove dentro uno
schema già significativo e in
questo trita il messaggio. Non
fece la parte del semplificatore
Goffredo Parise, scrivendo occasioni liriche in prosa, come definì la silloge di brevi racconti
raccolti in Sillabario I e II (1971 e
1982); dove gli piacque scoprire
la dimensione ingenua e automatica delle emozioni, dei pensieri, dei gesti, delle azioni, delle vite, senza la paura di arenarsi in cose banali, senza l'ansia
di dare un significato alle storie. Prose che addirittura riescono a destare la sorpresa di essere così sguarnite di sorprese.
Qui tutto è ridotto a cosa semplice: tematiche, oggetti, luoghi, personaggi, vicende, parole, finali. Né scarno né arido, Parise riesce a muoversi sulla superficie, attento, premuroso,
amorevole nel restituire apparenti quisquilie.
Il punto è restituire la semplicità senza cascarci dentro: un
equilibrio davvero difficile. A
metà degli anni '90 ci hanno
provato, con estrosità, anche
quelli dell'«Almanacco di prose. Il Semplice». Benati, Borsari,
Cavazzoni, Celati, Schneider e
Talon tra i primi agitatori. Con
quel nome ambiguo, «Il Semplice», che non sapevi se si riferisse
alla pianta medicamentosa o allo sciocco, al semplicione,
schietto, genuino, ingenuo, da
sempre oggetto di tanta comicità. Ne scaturiva una multiforme estetica della semplicità: stile antiepico, temi comuni e
una piega comica.
Che poi, l'etimo della parola
«semplice» (simplex, composto
da sim, uno solo, e plectere, piegare; quindi piegato una sola volta)
già viene in aiuto ad indicare
qualcosa che è sì subito disponibile ad essere compreso ma da
aprire tuttavia, e da porre in relazione con qualcos'altro. Così
come il principio di un'erba medicinale va reso funzionale.
Una semplicità con valore relazionale è, ancora, quella che coglie un recente progetto ideato
da Ugo Coppari, scrittore e insegnante di italiano agli stranieri.
Il giornalino «Pensierini.blog»,
pubblicato in rete e in cartaceo,
raccoglie la semplicità espressiva e lessicale di chi è alle prime
armi con un congegno così
complicato com'è una lingua.
Attraverso questa piattaforma
nascono un confronto e una
co-autorialità che hanno sì un
immediato impiego didattico
ma anche documentano uno
stato di relazioni premature e
potenziali.
Se si pone questa piccola rassegna della semplicità dietro il libro di Terzaghi, emergono subito alcune varianti originali. Prima di tutto, le sue prose esprimono l'intenzione di raccogliere cose che, per la loro natura
singolare, andrebbero a disperdersi. Questa cura è poi accompagnata da una certa acribia descrittiva. La pratica e l'intelligenza della descrizione sono
un tema caro all'autore, che già
in un saggio (I meriti del linguaggio, edizioni Casagrande, 2006)
aveva posto alla base di un'indagine sui processi che legano la
scrittura alla conoscenza e che
successivamente aveva messo
in campo con una raccolta di
brevissimi saggi di descrizione
di immagini (Ufficio proiezioni luminose, Quodlibet, 2013). In La Terra
e il suo satellite, che certo allude alla facile e insidiosa disarticolazione tra l'occhio e l'indice nel
puntare il suo oggetto, questa
semplicità descrittiva si attiva
nelle occasioni più varie, sparse
nel tempo: ora cerca di ricomporre una tazza andata in frantumi, ora di focalizzare un momento peculiare della vita, come potrebbero essere la malattia o le ore domenicali, ora di capire il particolare di una foto o
della scena di un film.
Possono essere alcune righe
lette in un libro o qualche segno graffiato su un quaderno a
sollecitare osservazione e scrittura, oppure la neve o la pioggia che cadono in un giorno specifico. Spesso è un ricordo di infanzia a balenare, come sovente c'è la scuola presente e passata, dato che è proprio la tensione narrativa del tema in classe
ciò che il libro cerca di riprodurre. In ogni descrizione c'è, infine, un'opzione autobiografica:
un po' perché si precisa l'occasione da fermare e puntualizzare, un po' perché ogni rigorosa
osservazione per essere descritta e analizzata deve includere il
soggetto che fa l'esperienza.
Un aneddoto lì raccolto svela l'equivoco in cui queste brevi
prose potrebbero far cadere.
Una professore a proposito dei
temi in classe un giorno lo ammonì: «Terzaghi, non le ho chiesto di scrivere un aforisma, ma
un normalissimo componimento. Non si tratta di condensare tutto il pensiero in un punto privo di estensione; il segreto è la divagazione». Sembra
che queste parole siano state solo parzialmente ascoltate, forse perché il vero segreto si ritrova intatto e non svelato in questa volontaria semplicità.