Recensioni / Una passeggiata Walseriana

Tema, svolgimento. Questo è lo sparo d'inizio, la partenza verso una forma di scrittura obbligata, strumentale quasi sempre scolastica e poi in alcuni casi, per alcuni, crescendo professionale. Matteo Terzaghi trasforma lo scoppio, il "pronti e via" nello svolgimento stesso, nell'irriducibilità di un'espressione creativa e culturale che da anni persegue con estrema originalità e perseveranza.
Più di trenta racconti, micro saggi, commenti, temi semplicemente. Una classe intera racchiusa in un libro, in un romanzo fatto di continui rimandi. Breve, rapido, scritto con un'eleganza impagabile all'occhio come alla mente: Terzaghi aggiunge un altro tassello ad una poetica rara oggi nella letteratura contemporanea perché sa unire alla necessità dell'autore, alla sua ineliminubile testardaggine artistica e narcisistica una totale capacità di condivisione con il lettore.
Non si tratta solo del "piacere del testo" che sicuramente rientra in questo caso nella voracità obbligata del lettore (il libro finisce in un attimo e sazia, ma se ne vorrebbe ancora), ma di una capacità da parte di Terzaghi di intercettare come un funambolo su una corda il tempo del lettore. Difficile se non impossibile sfuggire alla rapidità densa dei suoi testi che attraggono come in un labirinto senza la necessità di doverne costruire uno, o meglio senza l'obbligo di doversi scontrare con un temibile le Minotauro.
Si gioca e si inventa con la medesima levità e al tempo stesso serietà dei bambini, di coloro che hanno come obbligo principale crescere, capire e conoscere. La Terra e il suo satellite contiene l'energia magica dell'infanzia, come un bambino negromante Tèrzaghi mette in scena una storia unica fatta di eventi quotidiani. Occasioni spesso banali vissute al tempo dell'occhio e della sua percezione. Un Novecento capace ancora oggi di illuminare come in un circo Barnurn una galleria di nomi, personaggi reali o di finzione, teorie e credenze tutte sovrapponibili le une alle altre, gli uni agli altri. Un gioco certamente, ma potentemente letterario perché sufficientemente audace da lasciare per strada facili evoluzioni narrative, artefatti equilibrismi linguistici che poco offrono al lettore e ancor meno alla letteratura. Terzaghi è conscio che il panorama è dato, non si può aggiungere nulla e nulla è necessario che venga aggiunto, non conta nemmeno la struttura, la cosiddetta cornice, bastano semplicemente delle pagine legate ed una copertina bianca a fare un libro. Perché la dimensione reale, se così si può dire, la struttura narrativa e anche la sua capacità di costruire immaginari di avventura e di dramma, di commedia e di malinconia non sta più dalle parti dell'autore, ma a pieno titolo nei compiti e nelle possibilità del lettore divoratore.
L'autore non è nulla più che un iniziatore, ma anche in questo ruolo, solo per certi versi inedito, bisogna sapersi destreggiare con consapevolezza. Non un passo indietro o una rinuncia dunque da parte di Terzaghi al racconto, alla costruzione del tessuto narrativo, ma una passeggiata walseriana poco prima della scomparsa dell'autore, quando il Novecento toccò l'apice anche sbagliando, ma senza importanza, perché era una storia anche quella bella da leggere, bella da scrivere ancora oggi.
La divagazione come forma letteraria possibile, ma solo se concilia con la brevità, l'invenzione come spazio reale, ma sempre e solo se lavora sul ricordo. La Terra e il suo satellite è un libro prezioso, un manuale delle istruzioni per l'epoca digitale in cui l'algoritmo non sostituisce tanto la mente, quanto la meccanica: rendendo inutile sporcarsi le mani di olio e grasso, ma necessario se non obbligatorio sporcarsi la mente divagando, dando forma a incontri.
Luoghi di relazione improbabili solo fino a quando non attraversano le nostre sinapsi accuratamente illuminate dall'autore nel ruolo di capitano di bordo. Tornano tra le pagine di Terzaghi Antoine Doinel e il suo amato Balzac, Francis Ponge e il suo fondamentale Il partito preso delle cose. E poi ancora un viaggio con imprevisto verso Venezia e Danilo Kis. Procede per inciampi, interruzioni e ripartenze, la memoria si sovrappone al racconto, la citazione diventa l'occasione di una digressione. La Terra e il suo satellite ha un debito meritorio verso Gianni Celati e ha in Giorgio Orelli un riferimento sicuro. Matteo Terzaghi compone, in un certo senso cura un libro con lo stile asciutto di un novelliere contemporaneo compiendo una sintesi lucida tra narrazione e letteratura, trasformando la tradizione in un oggetto vivido e pulsante dentro il quale scompaiono gli assurdi steccati che sembrano averci separati per sempre da un Novecento contraddittorio e conflittuale che ha ancora molto da raccontarci, basta trovarne la chiave, basta riscoprirne le storie.