Recensioni / Non lasciamo la difesa dei territori ai populisti

Tirato un sospiro di sollievo per come sono andate le elezioni amministrative in Emilia Romagna (e forse qualcosa di più) ho ripensato però al richiamo di Vittorio Emiliani sul “Fatto quotidiano” quando si è augurato che ora Bonaccini “cambi musica”: basta con l’asfalto e il cemento.
Basta vien da dire con l’uso sconsiderato che ogni parte politica, non escluso appunto il centrosinistra, ha fatto del territorio italiano in questi anni. Finalizzato, come ci spiega Anna Marson, che ha firmato il piano paesaggistico della Regione Toscana, nel suo libro Urbanistica e pianificazione territorialista uscito da Quodlibet, ad assecondare prevalentemente i processi di industrializzazione e di finanz-capitalismo come lo chiamerebbe Luciano Gallino. Con una privatizzazione crescente dello stesso sistema della pianificazione territoriale.
Non lasciamo che l’unica voce udibile contro la distruzione dei luoghi sia quella dei populisti (per quanto sovente ridotta a mera retorica contraddetta nella reale pratica amministrativa). E’ giusto invocare (e non solo per l’Emilia Romagna ovviamente) tanto più in epoca di Fridays for future la fine dell’uso brutalmente funzionale del nostro territorio, semplice posta in gioco tra i diversi interessi organizzati. Dove si relega sempre più ai margini (significative l’istituzione delle Città metropolitane e lo svuotamento delle Province) tutto ciò che non è “centro”. E dove la rigenerazione dei centri urbani, nei luoghi di maggiore attrazione turistica, produce per lo più nuova rendita fondiaria e immobiliare.
Il territorio va considerato al contrario, ci ammoniscono le voci dei pianificatori raccolte nel volume (da Cellamare a De Bonis da Poli a Agostini), come ecosistema complesso, patrimonio materiale e immateriale essenziale al nostro benessere civile, assumendo, come afferma Alberto Magnaghi, fondatore della scuola Territorialista, “il punto di vista dell’abitare”. Il territorio è ben altro rispetto al valore finanziario dei terreni edificabili. E’ un patrimonio in sé che può alimentare forme di sviluppo economico, qualità degli insediamenti, stili di vita. Tanto più che l’individuo, ridotto a puro consumatore, nella caduta di ogni spazio pubblico esprime una domanda di comunità, di interazione con i luoghi. Si tratta ormai sempre più di comunità meticce, lontane dal genere tradizionalista che si può avere in mente, composte di persone che a vario titolo si prendono cura dei territori. Ponendoci seri interrogativi.
Ecco che va rimessa in discussione, secondo i Territorialisti, la nozione stessa di “interesse pubblico”, difficilmente difeso oggi dalle sole istituzioni politiche così da aprirsi a una condivisione più ampia di responsabilità. Come? Certo attraverso, anzitutto, una ricomposizione dei saperi ora troppo settoriali che il territorio sappiano rappresentarlo adeguatamente. E insieme, incoraggiando proprio quelle pratiche di partecipazione sul piano concreto come strumento per acquisire “coscienza di luogo” e dunque potere (empowerment in senso tecnico) da parte delle comunità locali.
Non si tratta, ammonisce Anna Marson, di sostituire l’azione pubblica scaricando sui cittadini gli oneri amministrativi quanto di ripensare la stessa idea di Amministrazione pubblica in termini di sussidiarietà a base collettiva. In modo tale che a fronte di processi decisionali sempre più opachi e lontani dai territori si ristabiliscano gli interessi anzitutto di chi li abita.
Gli esempi non mancano. Dalla costituzione degli Ecomusei come strumenti innovativi e partecipati di pianificazione da parte dei Comuni (il caso citato è anzitutto quello delle Apuane), all’incremento delle pratiche pattizie (i Contratti di fiume) al progetto di Piano per il Parco Nazionale del Gran Sasso, al recupero eco-paesaggistico di un’area abusiva di un quartiere di Gela.
Insomma s’impara molto dall’esperienza non solo teorica raccolta nel volume: utile tanto più a quegli amministratori che a partire da Maggio prenderanno in consegna molti dei nostri territori fragili.