A volte il destino di
un singolo incrocia
e finisce con l’incarnare il destino di un intero
gruppo. E la storia che quella
vita racconta confluisce nella storia, se non di un intero
popolo, di una sua minoranza. È quanto avviene al sordo Julien Laporte, protagonista di Malintesi, il romanzo
del francese Bertrand Leclair
tradotto a fine 2019 per le
edizioni Quodlibet. Nato nel
Nord della Francia negli anni
Sessanta del Novecento, Julien viene educato secondo i
precetti del metodo oralista,
che prevede interminabili sedute di logopedia e nega, con
risolutezza, qualsiasi uso della lingua dei segni.
Suo padre, Yves Laporte, eroe della resistenza e
self made man, dopo averne
a lungo negato finanche la
più remota ipotesi, affronta
la sordità del figlio con furente energia. Determinato
a riparare l’errore inammissibile della lotteria genetica attraverso l’applicazione della dottrina di Graham
Bell, scienziato tra i più accaniti sostenitori del metodo oralista e acerrimo nemico della lingua dei segni, che
contribuì a far proibire a cavallo tra il Diciannovesimo e
il Ventesimo secolo. Solo a 18
anni Julien riesce ad andare
via di casa, per la precisione
fugge a Parigi, dove incontra
la comunità degli attivisti
sordi e con essi, finalmente,
la lingua dei segni, di cui diventerà successivamente insegnante.
«Fino agli Settanta in Francia non esisteva possibilità di
scelta tra oralismo e lingua
dei segni, perché quest’ultima era vietata», ha sottolineato Leclair, nel corso di un incontro presso l’Istituto statale
per sordi di Roma. Leclair, che
solo ora è stato tradotto per la
prima volta in Italia, è scrittore, saggista, drammaturgo e
critico letterario per «Le Monde».
Ma è anche, e soprattutto, padre di una ragazza non udente. «Dopo aver saputo che mia
figlia era sorda, la cosa più naturale per me sarebbe stato
scrivere di questa vicenda. Ci
ho messo però 20 anni a farlo,
perché non volevo trarre vantaggio dalla sua vicenda personale. Ho atteso di ricevere
il suo permesso».
Tuttavia, Malintesi è in primo luogo un romanzo familiare dove, come spesso accade, la violenza parte dalle
migliori intenzioni. «È una
storia che si ripete spesso
nelle dittature del Ventesimo secolo», ha detto l’autore. «Si parte dall’idea di fare
del bene, ma si finisce per
distruggere i destinatari di
quello stesso bene che si voleva compiere».