Fossero in Francia «sarebbero considerate monumenti nazionali» sostiene Sara
Marini, docente di composizione architettonica alla luav. «Sono espressioni di un'epoca: quelle delle Unité d'habitation di Le Corbusier. Grandi edifici razionalisti, spazi comuni da
gestire e vivere assieme. Non a caso il progetto
di Francesco Di Salvo ha previsto spiazzi verdi
tra un edificio e l'altro». Ma questi sono diventati luoghi dell'abbandono: «Sono mancati i servizi, peraltro previsti nel progetto. E questa carenza ha favorito gli abusi. Ma l'architettura in
sé non va demonizzata. A quel tempo, negli anni'60 e'70, si sono realizzati diversi interventi
di simile fattura, a Palermo, Roma, Genova e altrove. Alcuni anni fa col fotografo Fabio Mantovani ne abbiamo visitati in tutta Italia per ricavarneimmagini che, pubblicate nel volume Cento case popolari (edizioni Quodlibet), danno
conto di come sono vissuti. Alcuni sono ben
mantenuti e abitati in modo tranquillo. Come
nel Villaggio Matteotti progettato da Giancarlo
De Carlo a Terni, i cui residenti sono orgogliosi
di quella architettura "firmata"».
Ovviamente, se le Vele fossero abitate da persone dotate di maggiore capacità economica, avrebbero subito una sorte differente: lungo la
Costa Azzurra si vedono molti edifici di identica fattura e la lecorbuousieriana Unité d'habitation di Marsiglia, recentemente restaurata, è
abitata da persone convinte della bontà delmanufatto. Delle sette Vele costruite, Ire sono giàstate abbattute e tre lo saranno: «Certo, il degrado,
l'incuria: lo capisco - sospira l'urbanista Marco
Romano -, ma sospetto vi sia anche altro. Recentemente ho saputo che c'è chi si agita per eliminare due edifici da me progettati vicino a
Milano. Entrambi in condizioni buone. Certo,
entrambi in calcestnizzo a vista, come si usava
all'epoca: l'architettura è sempre testimonianzadel proprio tempo. Fortunatamente sono nati anche comitati di cittadini interessati a conservarli. Mi chiedo se quella di eliminare certe
architetture non sia anche una moda...».
O forse il problema è un altro. Nota il critico dell'architettura Luigi Prestinenza Puglisi: «Un dato modello architettonico non può andar bene
per chiunque. Bisogna conoscere e accettare il
modo di abitare delle persone. Se fossero condomini di lusso, le Vele impreziosirebbero ilpanorama di Napoli. Lo stesso il Corviale a Roma.
Ma il discorso cambia se, come è accaduto a
quest'ultimo, i piani bassi, per quanto sulla carta fossero destinati ad attività commerciali e servizi, cadono nell'abbandono. Un progetto non
può essere un manifesto ideologico: deve fare i
conti con la realtà concreta. Da un certo punto
di vista abbattere le Vele è sbagliato perché sono architetture di pregio, ma è criminale pretendere che le persone vivano in condizioni aloro estranee». Su questo insiste anche Stefano Biraghi, docente di Storia dell'architettura al Politecnico di Milano: «Negli anni '60e'70 sono stati tanti i progetti estranei alla realtà cui erano
destinati. Tra le Vele vi sono corti oscure, adatte non per la vita sociale ma utili per le attività
illegali. Se sono un bel progetto, bastava conservarlo sulla carta. Perché nella realtà sarebbero state necessarie infrastrutture che non sono mai state realizzate, e se è vero che l'architetto non è un pubblico amministratore, deve
comunque tener conto di chi gestirà e abiterà
l'edificio. E utopico pretendere di usarlo per
plasmare la società. Bisogna conoscere prima
i bisogni e le condizioni delle persone: questo
fece Adriano Olivetti a Matera, mettendo in
campo sociologi prima di costruire il borgo La
Martella per trasferirvi gli abitanti dei vecchi
Sassi. Agli architetti spetta di ascoltare i cittadini e renderli partecipi». Sembra questa la lezione scritta sui relitti delle Vele.