Da dove viene L'Infinito? Questo inesauribile e vivissimo organismo poetico di
quindici versi nasce
delle tenebre di un
anno, il 1819, l'anno della «mutazione totale», anno-crogiuolo del
«passaggio dallo stato antico al
moderno», un anno doloroso di
buio anche letterale, dove, «privato
dell'uso della vista e della continua
distrazione della lettura», Leopardi
comincia «a sentire l'infelicità certa
del mondo, in luogo di conoscerla»;
così scrive nel 1820, duecento anni
fa, ripensando a quel 1819, in cui la
sua natura gentile, ardente e sensibile matura una «lugubre cognizione delle cose». L'Infinito è un miracolo poetico che squarcia tale oscurità e resta sospeso nell'attimo al
quale si dice faustianamente «fermati, sei bello».
L'infinito è poi uno dei termini
fondamentali della tensione che
percorre tutta l'opera di Leopardi e,
insieme, anche il suo esame della
natura degli uomini e delle cose che,
come d'abitudine, indaga a partire
da se stesso (mi riferisco specialmente alla teoria del piacere). La
tenzone tra finito e infinito è infatti
costitutiva non solo del sovrumano
idillio ma del suo modo di sentire,
di percepirsi in questa lacerazione
tra l'aspetto transeunte e fragile di
sé come la foglia di Imitazione e
quello eterno di sé come ginestra,
profumo, poesia che dura e che il
deserto consola.
Le due incarnazioni vegetali
stanno però sulla soglia ultima della sua vita mortale; tornando a quel
1819, il 5 febbraio Pietro Giordani gli
scriveva da Piacenza «le vostre canzoni girano per questa città come
fuoco elettrico», ricevere simili attestazioni di stima alimentava in
Giacomo lo stridere del desiderio di
libertà contro le catene domestiche;
«stanco della prudenza», scrive al
fratello Carlo alla fine di luglio, si
rivolge «all'ardire» con la fuga, fallita, dell'estate del 1819.
Quando è stato scritto l'Infinito?
Prima della tentata fuga? In quel
periodo? Dopo, nell'autunno?
Quando è stato abbozzato? Quando
portato a termine?
Nonostante l'inesausto e quasi
atletico esercizio esegetico sui
quindici endecasillabi, l'Infinito
continua a essere ineffabile, a sfuggirci come, si sa, ama fare Leopardi.
È persino stato scritto tutto un libro
sul primo verso dell'idillio (Giuseppe Garrera e Sebastiano Triulzi,
L'incipit dell'Infinito, ed. cambia una
virgola, 2019) nel manuziano formato dell'enchirídion.
L'infinito «si mostra ogni volta
come in una sua rinnovata vita»,
così Antonio Prete ha aperto nello
scorso ottobre a Recanati il convegno Interminati spazi su L'Infinito
(organizzato dal Centro Nazionale
di Studi Leopardiani con il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali
e del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Bicentenario de L'Infinito in collaborazione con la cattedra Leopardi dell'Università di Macerata diretta da Laura Melosi). Luigi Blasucci ha sottolineato
l'originalità dell'idea della contessa
Olimpia Leopardi di celebrare una
poesia «è la prima volta che nell'Europa leopardiana si celebra una poesia». La stessa Olimpia Leopardi
ha deciso con la famiglia di aprire al
pubblico dopo duecento anni, il 21
marzo prossimo, le stanze private
di palazzo Leopardi. Si potrà guardare il cielo oltre la finestra dalla
quale Leopardi contemplava la luna
e anche accedere al giardino de Le
Ricordanze. E il Comitato Nazionale
per le celebrazioni del Bicentenario
de L'Infinito nel mondo, istituito nel
2019, da lei fortemente voluto, continuerà i lavori almeno fino al 2022.
Nel 2020, finito l'anno dell'Infinito, ne inizia un altro, anzi altri
due, che, se si volesse, potrebbero
prolungarsi fino al 2025, bicentenario della pubblicazione dell'infinito
il quale fu stampato per la prima
volta nel dicembre 1825 sul «Nuovo
Ricoglitore» e poi nella silloge bolognese dei Versi del 1826.
Certo, il primo anno è stato occasione per pubblicazioni di grande
valore e nuovi contributi che si potranno leggere negli atti del convegno Interminati spazi che saranno
pubblicati in breve tempo a cura di
Alberto Folin (suo Il celeste confine<7i>,
Marsilio, 2019). Luigi Blasucci ha
messo in risalto la natura di esplosione, di sgorgo, il senso di freschezza e di "inauditezza" dell'Infinito (suoi I segnali dell'infinito, 1985;
La svolta dell'idillio, 2018, I1 Mulino,
il nuovo commento ai Canti, Guanda, 2019). L'originalità leopardiana
non consiste nell'ennesima riproposta di un infinito cosmico; Blasucci ha precisato come pur nell'affinità delle parole di Pascal: «Le silence éternel de ces espaces infinis
m'effraie», Leopardi si differenzi
perché il suo è un infinito mentale,
gratificante, «Io nel pensier mi fingo», vero "motore" dell'Infinito. Silvano Tagliagambe, ha ribadito l'importanza di tale infinito interiore e
del decentramento dell'io rispetto
a se stesso. Per Sergio Givone, Leopardi prende le distanze da Pascal
e sceglie la via lucreziana del naufragio dolce. (Su Pascal, il nulla e
l'infinito anche Luigi Capitano, Leopardi. L'alba del nichilismo, Orthotes, 2016). Marco Bersanelli, illustrando la struttura dell'universo
fisico, ha notato come «Leopardi
abbia prefigurato alcuni aspetti che
ci troviamo davanti agli occhi oggi,
nella ricerca cosmologica». (A tal
proposito, Giuseppe Mussardo e
Gaspare Polizzi L'infinita scienza di
Leopardi, Scienza express, 2019).
Paolo Zellini (tra i suoi libri, Breve
storia dell'infinito, Adelphi, 1980) ha
parlato dell'inclinazione per l'infinito come carattere stesso del desiderio, dell'afflizione della vita mortale, evidenziando la natura negativa dell'infinito potenziale e sincategorematico. Ha mostrato poi come
la teoria degli insiemi di Cantor
aprisse le porte aun paradiso teoretico, in realtà un abisso, prospettando l'esistenza di una serie interminabile di infiniti attuali aumentabili. Dell'infinito come narrazione
di un processo spirituale, interiore,
ha scritto Adriano Tilgher nel 1940,
(è suo La filosofia di Leopardi, a cura
di Raoul Bruni, Aragno, 2018).
Gaetano Lettieri ha spiegato che
la letteratura patristica, in special
modo Gregorio di Nissa e i cappadoci rovesciarono la concezione
aristotelica dell'infinito negativo
prospettandolo come un attributo
divino e ha postulato un'influenza
diretta e potentissima di questa
scaturigine patristica sulle categorie del romanticismo tedesco. Luigi
Reitani (a sua cura Tutte le liriche e
Prose, teatro, lettere di Friedrich Hölderlin, ( "Meridiani", Mondadori, II
vol.) ha parlato del concetto di infinito nel romanticismo tedesco, facendo risaltare l'importanza di Jacobi nella trasmissione di tale concetto almeno fino a Hegel e stabilendo anche dei nessi significativi
tra Hölderlin e Leopardi. Fiorenza
Ceragioli ha messo in luce come il
giovane Leopardi accolga in sé l'infinito, evidenziando il suo atteggiamento di ricerca e di apertura al
mondo. Gli aspetti ai quali si faceva
cenno all'inizio di questo discorso
sono stati ribaditi da Gilberto Lonardi che, oltre a soffermarsi sulle
tenebre del '19, ha indicato, tra le
molte altre cose, il naufragio alla fine dell'avventura come il «guadagno pratico-eudaimonistico» di
una medicina (L'Oro di Omero, Marsilio 2005, L'Achille dei Canti, Le
Lettere, 2017 e il suo nuovo Il mappamondo di Giacomo, Marsilio,
2019). Franco D'Intino ha approfondito il rimando a un oltre sempre inafferrabile, alla proiezione in
avanti che non cessa mai e che accomuna pensiero e desiderio. Ha ricordato anche la condizione leopardiana di recluso che sognava di
«partire alla ventura e naufragare»
(come si può leggere ne La caduta e
il ritorno, Quodlibet, 2019).
In conclusione, Antonio Prete
(suo La poesia del vivente, Bollati
Boringhieri, 2019) seguendo il viaggio dell'Infinito, ha detto che il giovanile idillio «torna a Recanati, come presenza che sosta per poco in
un convivio per poi riprendere nuovi cammini. Una presenza che è come un prisma: ogni parola e ogni
verso uno specchio che lascia riflettere i movimenti di un pensiero alle
prese con la sua più grande sfida:
rappresentare quel che si sottrae a
ogni rappresentazione».