Recensioni / Matteo Ricci. Con la memoria conquistò la Cina ma la Chiesa non gli fu riconoscente

Quando François Rabelais muore, a Parigi, a metà del Cinquecento, Matteo Ricci è appena nato, da un anno a Macerata. Ma anche se fossero stati coetanei si sarebbero difficilmente incontrati. Le loro vite hanno seguito itinerari molto diversi. E, comunque, anche se si fossero conosciuti, avrebbero forse stentato a capirsi. Erano di opposta natura.
Erano entrambi preti, ma non della stessa specie. Il francese è un genio. E’ un medico immerso nel sangue e negli odori degli ospedali dell’epoca: ed è al tempo stesso un sommo scrittore che, dall’alto della sua erudizione, descrive con ironia e sarcasmo l’umanità malinconica e grottesca... L’italiano è un pioniere lanciato alla scoperta e alla conquista di un’antica civiltà. E’ un cavaliere dell’Occidente cristiano, armato soltanto di erudizione, che usa come una spada (o come un grimaldello per aprire le porte dell’Impero Celeste) l’arte della memoria, che Rabelais deride attraverso Gargantua...