Recensioni / Presentazioni che avrei dovuto fare: “Il levitatore” di Adrian Bravi

Il Levitatore (edito da Quodlibet) è una storia zen di quelle belle e simpatiche e sostanziose, una storia di quelle strane, di quelle è difficile parlarne, perché talmente aeree e al contempo ricche che non sai cosa dire e cosa dirne.

Perché parlare dell’ultimo romanzo di Adrian Bravi (narratore di razza che quando avrà la considerazione che merita sarà sempre troppo tardi) mi mette seriamente in difficoltà, perché l’incubo che dà vita alla trama è affrontato con una levità che lascia incantati, mentre le riflessioni dello svanito protagonista Anteo sono di una tale sottigliezza che ti si attaccano addosso, e ci rimugini, e tu stesso, come lui, cominci a levitare, a distaccarti da terra ma, allo stesso tempo, piantartici in maniera più sana, consapevole, e non per effetto della mera gravità.

Il levitatore è un romanzo sull’eccentricità e sulla coltivazione della stessa, sugli oggetti magici e su quelli che noi consideriamo tali, sulla malevolenza e sui magnifici incontri dettati dal caso, sulla vita che tutto aggiusta quando si rimane con i piedi ben piantati per aria, sulla gentilezza, su ciò che ci rende speciali che noi teniamo segreto, su ciò che siamo che emerge a nostro dispetto e a nostro vantaggio, sull’imprevedibilità e la larghezza della vita, e sulla soavità e la gravità dell’atto di vivere e del pensare all’atto di vivere.

Il fatto è che i romanzi di Adrian Bravi non sono solo romanzi e neanche sono mondi: sono emanazioni di un mondo proteiforme e leggiadro, un mondo al quale si vuol tornare il più presto e spesso possibile. E il problema dei romanzi di Bravi è che è una casino dire quale sia il migliore o il più riuscito o il più efficace, perché sono tutti quanti straripanti di una concezione del vivere così travolgente da arricchire il vivere stesso, nella sua quotidianità e nelle sue piccolezze, e quindi, e mi ripeto per l’ennesima volta, diventa davvero complicato parlare del singolo romanzo dello scrittore a prescindere dal BraviMondo, ovvero da quell’alleggerimento, da quell’indulgenza e da quell’apertura al flusso delle cose che permea ogni opera del nostro.

E allora forse l’unica cosa da dire è che non vedo l’ora di ritornare nel BraviMondo, perché è un mondo che allarga il mio, di mondo, e che mi fa stare davvero bene.

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